Da Il Mattino del 15 febbraio
Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalli, le iene; tutti quanti, Gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra»: era l’analisi del principe di Salina sul futuro delle classi dirigenti meridionali dopo l’unità. Nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, era amaro il passaggio dal regno delle Due Sicilie al regno d’Italia. Emergeva una continuità immobile, da trasformismo e capacità di adattamento ai nuovi tempi.
Si è tanto scritto sulla rapacità passiva dei feudatari diventati latifondisti della classe dirigente meridionale che, conservando il proprio potere, mutava con rapidità convinzioni politiche e riferimenti. C’è molta verità in questa lettura, ma anche un rovescio della medaglia nell’adattamento ai tempi ora descritto nell’appassionato e documentato studio di Carla Benacci edito da Rubbeffino: I Gattopardi – I Ruffo in Calabria e i Doria Pamphilj in Basilicata in età moderna (pagg. 207, euro 48).
Un testo in carta pregiata, in edizione curata con ricchezza di immagini, riproduzioni di documenti e foto d’epoca. L’autrice, allieva di Argan e specializzata in storia dell’arte, ha studiato gli archivi di due importanti famiglie del Mezzogiorno preunitario, custoditi negli Archivi di Stato di Napoli e Potenza. Ne emerge il quadro di due famiglie che, a partire dal periodo del vicereame spagnolo, si sono sempre adattate alle evoluzioni politiche e produttive intervenendo sulle loro proprietà adeguandole ai tempi.
I Ruffo in Calabria e i Doria Pamphilj in Basilicata rappresentano casi emblematici di adattamento, come i Barracco già studiati da Marta Petrusewicz, docente di storia. Nei documenti dei due archivi, spunta un regno di Napoli pieno di fervori illuministi prima del 1799. Le innovazioni di Ferdinando IV di Borbone agevolarono il progresso produttivo in agricoltura. Un quadro descritto dalla Petrusewicz, citata nel libro: «L’immagine che ne risulta è talmente diversa da quella dipinta da Salvemini da permetterci di rivisitare quasi tutti i luoghi comuni della guerra al latifondo – rigidità, uniformità, monocultura e così via – e di svelarli come pregiudizi».
I due rami dei Ruffo, di Baranello e Scilla, si affidano ad agronomi, affrontano contenziosi legali, si fanno mecenati di artisti e soprattutto di fotografi che proprio nella prima metà dell’800 cominciano ad affermarsi. Risulta preziosa e unica la riproduzione di molte delle foto storiche acquistate dai Ruffo, conservate all’archivio di Napoli, con immagini di tutta l’Italia, con Napoli, Ischia, Capri, gli scavi di Pompei, la costiera amalfitana. Un come eravamo di grande pregio.
Non da meno sono i Doria Pamphilj di Melfi. Una famiglia, poi divisa in altri rami tra Roma e Genova. Anche nel loro caso, spiccano le trasformazioni dalle tecniche d’impostazione feudale a quelle del latifondo. Un dinamismo che porta questi nobili-imprenditori ad intervenire, con visioni moderne, nelle ristrutturazioni dei beni danneggiati dai terremoti del 1851 e 1857. Lo dimostrano i documenti sui lavori ai castelli di Lagopesole, Avigliano e Melfi. Nel libro sono riprodotte poi le preziose planimetrie dei terreni, preparate da esperti agrimensori, per migliorare le produzioni.
Il libro non lo dice, ma fu nel castello di Filippo Andrea Doria V a Melfi che si sistemò nel 1861 il capo brigante Carmine Crocco quando entrò nella cittadina con i suoi uomini. I Doria, liberali non rivoluzionari, sistemarono i loro feudi di Giffoni e San Cipriano in provincia di Salerno, allora Principato Citra, si distinsero nell’allevamento di bovini e nella produzione di lana pregiata. I documenti riportano nomi, inventari, cause giudiziarie. Storie che fanno la storia. Scrive l’autrice, riferendosi ai Doria: «L’unità d’Italia comporta oneri sempre più rilevanti, soprattutto per l’aumento delle tasse e per la cause aperte da affittuari e coloni; il principe rivolge le sue cure alle strutture produttive, preoccupandosi di garantire condizioni accettabili per i cafoni, non per fini sociali, ma per assicurare la migliore produzione di servizi. Il risultato non cambia».
di Gigi Di Fiore
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