Da Linkiesta.it del 25 febbraio
Scaduti i diritti, il 14 gennaio ben cinque editori porteranno i diari di guerra di Benito Mussolini in libreria (la stessa cosa sta succedendo per Mein Kampf in Germania). L’analisi di Alessandro Campi, che ha curato l’edizione dal titolo “Giornale di guerra 1915-1917” (pp. 336, euro 16) per Rubbettino, getta nuova luce sulle memorie mussoliniane.
Sostenendo la necessità dell’intervento dell’Italia nel primo conflitto deve far seguire i fatti alle parole, per cui il 24 maggio 1915 chiede di poter partire volontario e ad agosto dello stesso anno, Benito Mussolini, matricola 12467, parte per il fronte nei bersaglieri. Il suo diario nasce come raccolta di quindici cronache di guerra inviate dal futuro duce al Popolo d’Italia (quotidiano fondato dopo la rottura col socialismo e con l’Avanti!), relative alle spedizioni che toccano l’Alto Isonzo, la Carnia e il Carso e che appaiono sul quotidiano milanese tra il dicembre 1915 e il febbraio 1917.
Scrivere un diario dalla quasi immediata pubblicazione (ennesimo ossimoro: «Sono alla guerra per combattere, non per scrivere», 20 settembre 1915), aveva scopi ben precisi: supportare la causa interventista, rivalersi agli occhi di quanti lo volevano pavido e imboscato, testimoniare ai suoi lettori (e potenzialmente all’opinione pubblica) di non essere inviso ai suoi commilitoni. Dal linguaggio asciutto e contemporaneo – esclusi rarissimi lirisimi bellici (descrive un bombardamento come un “concerto maestoso”) – presto il suo diario mostra la ferinità della guerra, la noia delle trincee, i pericoli della vita d’armi.
Oltre a servire come preziosa e attendibile testimonianza storica c’è un aspetto molto interessante per i nostri occhi di posteri: dalle pagine traspare (opportunamente evidenziate da Campi) il totale disprezzo per la religione cattolica e per i suoi rappresentanti, che ci si sarebbe aspettato dall’agnostico e miscredente Mussolini socialista e non dal futuro padre dei Patti Lateranensi. Intere pagine espunte quando i diari divennero un volume, nel febbraio 1923, con il titolo “Il mio diario di guerra (1915-1917)” per la casa editrice ufficiale del Partito nazionale fascista.
Mussolini non vede di buon occhio il cappellano del reggimento considerandolo più preoccupato per la sua vita terrena che per quella spirituale (19 ottobre 1915), non partecipa alle messe di campo «della mia compagnia, nessuno si muove» (1 novembre 1915) e prova fastidio per una canzone alla Madonna, «una regina che si vorrebbe incoronare» (26 settembre 1916). Imperversando la paura per gli scontri nel febbraio 2016, i soldati si aggrappano a qualsiasi tipo di superstizione e talismano, ma per Mussolini «un amuleto vale l’altro, che il cornetto vale una medaglia e un Sant’Antonio». E quando il cappellano fornisce ai combattenti le istruzioni per la cerimonia della loro consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, Mussolini si limita a obbedire senza esternare il suo disappunto per quella pratica ritenuta ridicola (come poi dirà più tardi).
Da ieri mattina non abbiamo in corpo che un sorso freddo di caffè. Piove sempre. Da due giorni, ininterrottamente. Stanotte non ho chiuso occhio. Mi trovavo sotto la tenda con un tal Jannazzone, un contadino del Beneventano, il quale, inzuppato fradicio, come me, e un po’ febbricitante, gemeva: «Madonna mia bella! Madonna mia bella!». «Basta, basta, Jannazzone!», gli ho detto. «Non credete in Dio, voi?». Non ho risposto” (27 settembre 1915).
di Gaetano Moraca
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