dall’Avvenire del 11 febbraio
Uomini armati irrompono nella pace di un chiostro. Monaci portati via e poi uccisi perché «colpevoli» di avere aperto le porte della clausura a chi era in pericolo. Non però nell’Algeria degli anni Novanta – teatro della vicenda dei monaci di Tibhirine, raccontata dal film Uomini di Dio – ma in una Certosa toscana che durante la Seconda Guerra mondiale finì nel mirino dei tedeschi per il rifugio offerto a perseguitati politici, partigiani ed ebrei. Sono le coordinate del martirio dei certosini di Farneta, a cui dedica il suo nuovo libro Luigi Accattoli – giornalista del Corriere della Sera, appassionato cercatore di quelli che lui ama definire «i fatti di Vangelo». E proprio il racconto di una testimonianza cristiana a tutto tondo rimasta fino ad ora confinata nell’ambito della memoria locale è la chiave di La strage di Farneta. Storia sconosciuta dei dodici certosini fucilati dai tedeschi nel 1944, volume che arriva domani in libreria per l’editrice Rubbettino (pp. 144, euro 12). Il libro è la ricostruzione della morte drammatica di 12 monaci di 6 nazionalità diverse, fucilati dai nazisti nella Lucchesia attraversata dal fronte nel settembre 1944. Già da mesi la grande Certosa di Farneta aveva cominciato ad accogliere fuggitivi e perseguitati politici (ex fascisti compresi) insieme agli ebrei portati lì dalla Delasem, la rete clandestina di auto-aiuto ebraica che a Lucca godeva dell’appoggio del vescovo Antonio Torrini. A Farneta li nascondevano non solo nelle case coloniche esterne di proprietà della Certosa: alcuni venivano addirittura rivestivi dell’abito e ospitati dentro la clausura. Nell’estate del 1944 i certosini arrivarono ad accogliere tra le loro mura un centinaio di persone; un numero probabilmente imprudente, che non poteva passare inosservato. Così la notte tra il 1° e il 2 settembre – mentre gli Alleati già avanzavano nella zona – avvenne l’irruzione dei tedeschi nella Certosa: condussero via i 34 monaci e i loro ospiti. E tra il 7 e il 10 settembre dodici certosini vennero fucilati insieme ad altre 32 persone rastrellate con loro. Il libro di Accattoli è dichiaratamente un invito a riscoprire queste figure, definite come «martiri della carità». Va peraltro ricordato che nel 1985 l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi intervenne a una commemorazione pubblica a Farneta e che nel 2001 la medaglia d’oro al merito civile venne assegnata alla Certosa dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Secondo Accattoli sui fatti di Farneta – oltre al tradizionale riserbo dei certosini – ha pesato una lettura storiografica che nei primi anni ricollegò questa strage primariamente alla retorica della Resistenza: un capo partigiano sostenne che nella Certosa fossero state nascoste delle armi e addirittura una ricetrasmittente. Fatti che però non risultano dalle ricostruzioni compiute dagli storici locali sulla base delle testimonianze dei sopravvissuti (anche se appare verosimile che dei rapporti con ambienti partigiani ci siano stati). Ma a far emergere con chiarezza il contesto di una comunità di monaci che si trovò a scegliere la via della carità come risposta alla violenza è soprattutto una dettagliata ricostruzione dei fatti stesa dall’Ordine certosino e inviata nel 1999 in Vaticano, che ora nel libro viene pubblicata per la prima volta. Questa relazione – redatta in occasione della «Commemorazione dei Testimoni della fede del secolo XX» voluta da Giovanni Paolo II nell’ambito del Giubileo del 2000 – è un elemento importante per cogliere lo spessore umano e cristiano della testimonianza offerta dai monaci. I compagni sopravvissuti al rastrellamento raccontano infatti come i dodici vissero le giornate tra l’irruzione tedesca e la fucilazione. Emergono le loro storie personali, a partire da quella del priore Martino Binz, svizzero di lingua tedesca come il maestro dei novizi Pio Egger: a loro toccherà la sofferenza tutta particolare di farsi interpreti dei propri persecutori. Oppure quella di dom Bernardo Montes de Oca, che era stato vescovo in Venezuela: espulso dal suo Paese per essersi opposto al divorzio del presidente, aveva chiesto al Papa la dispensa dalla mitria per poter vivere in maniera radicale il Vangelo nella Certosa. Quasi beffardo, poi, il destino dello spagnolo Raffaele Cantero, che a Farneta ci era giunto come sopravvissuto di un’altra strage compiuta nel 1936 dai repubblicani spagnoli nella Certosa di Montalegre: scampato ai rivoluzionari di sinistra, venne fucilato dai nazisti. Quanto al procuratore della Certosa, l’italiano Gabriele Maria Costa, era stato amico e confessore di Giorgio La Pira a Firenze: insieme a Binz e ad Egger era pienamente consapevole dei rischi che si stavano assumendo offrendo rifugio nella Certosa ai perseguitati. Fu lui a lasciar detto: «Se veniamo uccisi dite che è stato veramente a causa della carità». Alla fine sono proprio i dettagli sui giorni di prigionia in un frantoio nei pressi di Camaiore l’aspetto che in questa storia colpisce di più. Perché davanti agli occhi del lettore prende forma una comunità che resta monastica anche dentro l’esperienza della prova: i certosini vivono la spoliazione del proprio abito, le umiliazioni dei tedeschi, le percosse fisiche come una sorta di liturgia della Passione. Con il Diurnale nelle mani e con i sacerdoti che si confessano e si benedicono a vicenda in articulo mortis, oppure tracciano segni di croce sui compagni di sventura. «Giornate di salmi e di sangue», le definisce Accattoli. Volto orante della carità senza troppi calcoli che li aveva condotti a quel loro Calvario.
di Giorgio Bernardelli
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