da Italia Oggi del 29 Novembre
«Prendete un giornale», scriveva Herbert Spencer nel 1856, «e vi troverete probabilmente un articolo di fondo che vi esporrà la corruzione, la negligenza o il cattivo maneggio di qualche amministrazione dello Stato. Gettate il vostro occhio alla colonna accanto e non è improbabile che leggerete proposte di estendere ancora il controllo dello Stato».
Da allora, nelle democrazie liberali e simil-liberali, non è cambiato granché. A parte i casi di «corruzione, negligenza e cattivo maneggio» dell’amministrazione pubblica, che sono aumentati vertiginosamente, e fatta eccezione per il numero, a sua volta cresciuto a dismisura, degli articoli di fondo che suggeriscono alle caste sempre nuovi pretesti per legiferare. Leggi per lo più costose, e peggio che inutili: deleterie. “Troppa legislazione” (Rubbettino 2013, pp. 138, 9,00 euro) è un libello scritto quasi due secoli fa. Spencer spiegava, nel 1856, quel che stiamo ancora qui a spiegare anche oggi. Cioè che «lo statalismo è il regno degli stupidi» e «quanto sia corrotto ciò che è pubblico. Non esposte ad alcun elemento antisettico, come la libera concorrenza, non sottomesse, per esistere, a mantenersi in uno stato di vigorosa salute, l’opposto cioè delle organizzazioni private e senza sovvenzioni, tutte le aziende che nascono dalla legge cascano in uno stato inerte e ingrassano a dismisura, e da questo stato all’infermità la strada è breve. I salari crescono senza riguardo alcuno alla operosità con la quale una funzione viene eseguita; essi continuano anche dopo che il lavoro è interamente cessato; vi sono ricchi premi per essere pigri, ben noti; e incitano allo spergiuro, alla corruzione, alla simonia». Sembra di leggere l’ennesima predica inutile di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella: «Un sistema di carri molto diffuso cessa di esistere non appena viene creato un sistema più utile, quello delle strade ferrate. E non solo il vecchio sistema cessa di esistere e di attrarre capitali, ma i materiali dei quali esso era costruito sono assorbiti e di nuovo impiegati. Carrettieri, guardie e tutto quello che resta, sono impiegati per far profitto in un’altra maniera – essi non continuano a vivere per venti anni alle spalle della società come gli ufficiali salariati di un ramo abolito dello Stato».
Era l’età di David Copperfield, l’età del lavoro infantile, degli spazzacamini e delle piccole fiammiferaie, dell’accumulazione primitiva di capitale, l’epoca in cui Friedrich Engels scriveva uno dei pochi libri duraturi, per pathos e bella retorica, del canone marxista, “La condizione della classe operaia in Inghilterra”. Eppure già allora gli orrori della legislazione (persino in fatto di welfare, di cui quasi non c’era ancora traccia) erano evidenti a chiunque, per lo più gli antenati quaccheri dei moderni socialisti, non fosse accecato dalle superstizioni stataliste. «Sebbene abbiamo smesso di credere all’infallibilità delle nostre credenze teologali», scrive Spencer, «noi non abbiamo ancora smesso di stabilire eserciti di altre credenze in egual maniera dubitabili. Sebbene non presumiamo più di costringere gli uomini per il loro bene spirituale, pensiamo ancora di doverli costringere per il loro bene materiale: non comprendendo che l’una cosa è ugualmente infruttuosa e incerta quanto l’altra». Legiferare: lo strapotere dei parlamenti, secondo Spencer, creava un mostro, la società intesa come collettivo, e soffocava le radici della democrazia liberale, cioè l’individuo libero e responsabile di cui anche oggi, quasi due secoli più tardi, si piange ancora la perdita. «Supponiamo che la protezione esterna e quella interna fossero state le sole funzioni dello Stato. L’amministrazione della giustizia sarebbe stata così corrotta come adesso? Alcuno potrebbe credere che i nostri parlamentari si fossero occupati di riforme legali, il nostro sistema di far giustizia sarebbe stato ancora quale l’ha costruito Mister John Romilly – «cioè un sistema tecnico inventato per creare spese?».
Gli statalisti, legislatori compulsivi, pronunciano con particolare enfasi parole come «fedele funzionario dello stato», elogiando figure di cui il senso comune diffida. Dice Spenser: «Se potessimo essere sicuri dei buoni funzionari, vi sarebbe molto a dire a favore del burocratismo, proprio come il despotismo avrebbe i suoi vantaggi, se noi potessimo essere sicuri d’un buon despota».
di Diego Gabutti
Clicca qui per acquistare il volume al 15% di sconto
Altre Rassegne
- Il Giornale 2014.01.15
Lo statalismo? E’ il regno degli stupidi?
di Giampietro Berti - Italia Oggi 2013.11.29
Herbert Spencer (1856) diceva che lo statalismo è il regno degli stupidi perché non è nemmeno corretto dall’antisettico della libera concorrenza
di Diego Gabutti