Da Il Piccolo (Ravenna) del 29 aprile
Il saggio di Giovanni Palladino intitolato Governare bene sarà possibile. Come passare dal populismo al popolarismo (Rubbettino, Soveria Mannelli 2015) attualizza l’insegnamento del grande uomo politico don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano nel lontano 1919. Questo sacerdote siciliano, ora Servo di Dio, senza ombra di dubbio può esser considerato uno dei più eminenti pensatori ed uomini di azione in campo politico nel secolo scorso, non solo in riferimento al mondo cattolico. Rimane emblematica la sua riflessione sulla figura che dovrebbe avere un partito aconfessionale, laico, di ispirazione cristiana. Purtroppo, il suo insegnamento oggi è praticamente dimenticato, con gravi danni per la stessa cultura dei cattolici contemporanei. Essi, infatti, per lo più non appaiono in grado di discernere la distinzione tra partito cattolico prospettiva di impegno che riporterebbe all’Ottocento e partito di ispirazione cristiana.
Merito di Giovanni Palladino, già presidente del Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo, è di farci capire la rilevante attualità del sacerdote di Caltagirone. Nel panorama dei problemi odierni, derivanti dalla crisi della cultura politica ed economica, l’assenza di una solida formazione ci priva di un buon governo, della competenza e della moralità nell’esercizio del potere politico ed economico. Se si desidera ristabilire la moralità in questi due ambiti essenziali della polis, non si può prescindere da una buona formazione culturale specifica. Ne deriva che i credenti non possono aspirare a rinnovare politica ed economia, se non si preoccupano di acquisire la formazione necessaria per gettare le basi di un nuovo movimento culturale e politico.
Il saggio di Palladino sollecita, in particolare, a passare dal populismo – movimento o insieme di movimenti centrati sulla protesta e sull’antipolitica – al popolarismo, avente tra i suoi capisaldi l’armonizzazione tra libertà e giustizia sociale, la figura di uno Stato non accentratore, bensì popolare, rispettoso delle autonomie locali e dell’iniziativa privata; la garanzia delle libertà; la collaborazione tra le classi; la riforma della scuola e della previdenza sociale; lo sviluppo del Mezzogiorno; un sistema fiscale equo e non oppressivo. Come prosindaco di Caltagirone durante quindici anni, don Sturzo mostrò che i principi e gli orientamenti della Dottrina sociale della Chiesa sono efficaci. Creò numerose iniziative, tra cui possiamo citare una banca in funzione antiusura e cooperative sociali e di lavoro; mostrò, inoltre, grande attenzione ai problemi dell’agricoltura, mediante lo sviluppo della proprietà contadina; fondò l’Istituto di Ceramica per formare nuovi artigiani; ottenne la partecipazione dei lavoratori agli utili del sughereto di Santo Pietro; dispiegò una dura lotta contro la corruzione e la mafia. Secondo don Sturzo, un sistema amministrativo e politico che non consideri essenziale l’integrità morale e la competenza dei suoi protagonisti, prima o poi è destinato a crollare. Nessun sistema può reggersi a lungo, quando l’economia e la politica calpestano l’etica.
Per poter meglio diffondere e rendere stabili le buone pratiche locali, lanciò il famoso Appello a tutti gli uomini liberi e forti e fondò il Partito popolare italiano. Come simbolo, scelse lo scudo crociato con la parola libertas, ideato dai Comuni lombardi ai tempi della lotta contro l’invasione di Federico Barbarossa, dando la seguente motivazione: “Vogliamo indicare la profonda aspirazione di libertà contro il centralismo e l’oppressione statale, soffocatrice di ogni energia nuova, di ogni tentativo di vita vissuta nella febbre della società moderna, e non ultimo elemento provocatore dell’immane fenomeno della guerra”. Quindi, lo scudo crociato era visto dal fondatore del Ppi, come simbolo non tanto religioso, ma civile, in funzione antistatalista a difesa delle autonomie locali. L’emblema venne, poi, in parte copiato da Umberto Bossi, con l’inserimento del Carroccio in funzione secessionista. Lo scudo crociato fu mantenuto dalla Dc, ma il suo profondo significato ideale fu poi dimenticato dai democristiani con l’apertura delle porte allo statalismo e con l’accentramento dei poteri a Roma.
Con i dovuti aggiornamenti, l’iter di don Sturzo, che giunge alla fondazione del Ppi, ha senz’altro qualcosa da insegnare. Sicuramente, oggi non siamo di fronte né allo statalismo del primo Novecento né a quello degli ultimi anni del secolo scorso e inizio del nuovo millennio. Semmai, c’è da contrastare la tendenza alla mercatizzazione della politica e del welfare, nonché alla finanziarizzazione dell’economia, che producono l’indebolimento della classe media e dei corpi intermedi, come anche lo smantellamento dello Stato sociale. Nel presente momento storico, l’insegnamento sturziano è da valorizzare almeno: a) nel combattere quel capitalismo finanziario altamente speculativo, che uccide e sminuisce le democrazia economica, emarginando il lavoro manuale, artigianale, agricolo, sociale; b) nell’incrementare l’universalizzazione della proprietà privata, sociale, partecipativi; dello spirito imprenditoriale; del capitalismo popolare; dell’economia di mercato, orientata dai vari soggetti sociali al bene comune; di mercati finanziari e monetari liberi, stabili, trasparenti, democratici, non oligarchici, funzionali alle famiglie, ai lavoratori, alle imprese e alle amministrazioni comunali; dell’economia civile; di una democrazia e di un welfare inclusivi e partecipativi. A coloro che si complimentavano con il suo operato a Caltagirone, don Sturzo rispondeva dicendo che il merito era del Vangelo e della Dottrina sociale della Chiesa. Analogamente, a fronte dei problemi del nostro tempo, dovremmo essere, come lui, creativi e capaci di attualizzare gli orientamenti del magistero sociale della Chiesa. In particolare, dovrebbe essere imprescindibile accogliere il suo insegnamento a proposito dell’etica nella politica e nell’economia. L’etica non èì estrinseca a questi due campi della vita sociale. Una politica e un’economia che non fossero etiche non sarebbero umane ed umanizzanti. In una parola, non sarebbero se stesse, senza un’intensa vita spirituale.
di Mario Toso
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