Da L’Osservatore Romano del 19 marzo
«Le generazioni diverse non dovrebbero vivere insieme, Gerry, è stato dimostrato tante e tante volte». Fa sempre appello alla scienza Wilma, nuora impietosamente moderna che, dopo la nascita del figlio Duncan, convince il marito a internare l’anziano suocero, vedovo stravagante. «La California – spiega – è piena di tizi come lui, vecchi andati un po’ fuori dai binari. Che non sanno stare in riga. E proprio a livello nazionale, è un problema spaventoso. È risaputo ormai». Best seller di Katharine Topkins, uscito nel 1965 negli Stati Uniti e recentemente riedito, Arrivederci Signor Kotch (Roma, Lit Edizioni, 2014, pagine 190, euro 17,50), racconta con amara ironia la conseguenza più drammatica della mutazione vissuta dalla famiglia occidentale nel Novecento: l’emarginazione degli anziani.
Private dopo secoli del ruolo di guide morali e custodi della tradizione, le persone anziane diventano ingombranti nel nuovo assetto sociale, sia fisicamente che umanamente. La loro fragilità rallenta la corsa verso il piacere e così mentre si dividono i tetti, si alza un muro che infligge solitudine. Alle evidenze sociali e statistiche impugnate da sua nuora, il signor Kotch contrappone il buon senso dei sentimenti: «I bambini cresciuti con una nonna in casa hanno una tenerezza… (…) I due estremi danno l’idea di qualcosa di compiuto».
La sua lezione è più attuale che mai e la ritroviamo anche nella catechesi sulla figura dei nonni di Papa Francesco che sempre torna ad auspicare «la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani». Seppur in forme molto diverse dal passato che escludono quasi sempre la convivenza, il rapporto nonni-nipoti continua a essere uno degli aspetti più vitali della famiglia moderna. Ne traggono beneficio i bambini, spesso lontani dai genitori per gran parte del giorno, e ne traggono altrettanto beneficio gli anziani.
Sull’affetto e la presenza dei nonni si gioca oggi la serenità di molte realtà domestiche e forse per questo anche il lettore moderno si schiera da subito con il signor Kotch. Cacciato dal paradiso – «Paradiso? No, solo la routine che ti dà il prezzo della vita: Duncan che incastra le scatole di plastica colorata (…), il rumore della scopa storta sul sentiero, le domeniche dei giornali sparsi» – il protagonista inizia il suo braccio di ferro con la solitudine. E ritarda la sconfitta grazie all’incontro con la disperazione di Erika, 15 anni, incinta, orfana, rifiutata dal ragazzo e dal fratello maggiore. Nell’offrirle sostegno e nel tentare di convincerla a non dare via il suo bambino, Kotch trova una nuova ragione di vita. Purtroppo le esigenze della modernità avranno la meglio nel libro – a differenza del film del 1971 a esso ispirato, Vedovo, aitante, bisognoso affetto offresi, anche baby sitter – e lo sguardo sul futuro è cupo.
È un messaggio di ottimismo, invece, quello trasmesso da un altro libro che con delicatezza parla della fragilità umana, soprattutto nella fase finale dell’esistenza. Ne La vita dimenticata, Storie d’Alzheimer e di altre demenze (Catanzaro, Rubettino Editore, 2014, pagine 77, euro io), Francesca Frangipane in collaborazione con altre due neurologhe, trae dalla propria esperienza professionale undici ritratti di persone colpite da malattie neurodegenerative e racconta «viaggi nella sofferenza della mente che approdano in porti di speranza e condivisione».
In queste pagine lo smarrimento dei pazienti – avvocati e contadini, ingegneri e sacerdoti – viene alleviato e confortato dalla vicinanza delle persone amate. L’obiettivo dell’autrice è mostrare come, al di là del percorso clinico- farmacologico, questi «cortocircuiti dell’anima» richiedano quotidiani atti di amore, pazienza, generosità.
Colpisce vedere come tali atti passino quasi sempre attraverso un’inversione dei ruoli, laddove chi per una vita ha accudito diventa la persona da accudire, chi ha sostenuto, aiutato, rassicurato si affida totalmente alle premure degli altri. Elisa, 86 anni, «guarda la figlia come se la vedesse per la prima volta, viso sconosciuto e familiare al tempo stesso», ma le sorride «nella consapevolezza che ci si ama anche se non si trovano le parole per dirselo».
A Sergio, invece basta incrociare gli occhi di sua moglie Monica «per trovare il modo di andare avanti, per assorbire da lei un senso di pace, di ovattata sicurezza domestica (…). Lei è i suoi ricordi quando la sua memoria vacilla, la sua casa quando è disorientato, la sua mamma quando la sera è confuso». Per entrambi, a rendere la vita ancora degna di essere vissuta, un amore coraggioso e gratuito.
di Silvia Giusmano
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