«Gli insoddisfatti consumano di più». Intervista a Don Armando Matteo (L'Eco di Bergamo)

di Vincenzo Guercio, del 6 Novembre 2012

Da L’Eco di Bergamo – 6 novembre 2012
Alla pubblicità, al mercato «serve gente perennemente insoddisfatta, che sia sempre in uno stato di desiderio. Un adulto immaturo, che guardi all’indietro all’inseguimento di una irrecuperabile giovinezza, è un insoddisfatto cronico: il massimo per il mercato». Don Armando Matteo, assistente ecclesiastico nazionale Fuci, ha dedicato un libro al rifiuto di adultità, vecchiaia e morte, al mito onnivoro e irraggiungibile della giovinezza, all’immaturità adulta dilaganti del nostro tempo, colti nei loro legami profondi con l’arretrare della Fede: La prima generazione incredula (Rubbettino).

Quali sono i fattori alla base di quello che lei chiama rifiuto dell’adultità?

«L’esaltazione straordinaria della giovinezza, legata al contesto di allungamento della vita e updating, aggiornamento continuo. Dall’altra parte la contemporanea maledizione della vecchiaia. Addirittura la parola è stata bandita da Wikipedia. Se si cerca la parola sull’enciclopedia digitale si viene reindirizzati alla voce “senilità” – fra parentesi: “più volgarmente detta vecchiaia” -».

La pubblicità, le suggestioni dell’immaginario esercitano un ruolo?

«Il nemico numero uno della pubblicità è l’invecchiamento. Qualunque cosa si venda, sotto c’è scritto “contro l’invecchiamento”. Nel mondo occidentale si spendono ogni anno 32 miliardi di dollari per creme anti-age. Gli italiani, di più, sono convinti che si diventi vecchi a 83 anni, indagine di qualche anno fa. Ma l’età media maschile è sugli 82. Nel nostro immaginario si diventa vecchi dopo la morte. Un bell’esorcismo».
Conseguenze?

«Si va smarrendo il difficile equilibrio fra un paradiso identificato con la giovinezza e il nulla, l’abisso, significato dalla vecchiaia, vista come un nemico terribile».
Chi è l’adulto, il maturo?

«Colui che sa gestire la distanza dalla vitalità della giovinezza e affrontare la vecchiaia e, soprattutto, il tema della morte. Nei confronti della quale, pure, vige un esorcismo, financo verbale. Persino nei manifesti funebri la parola è scomparsa. Uno si trasferisce, compie l’ultimo viaggio, si spegne, si addormenta, torna alla casa del Padre, ma nessuno muore. L’adulto, uno che ha vissuto, sa che la giovinezza è importante ma non è il tutto della vita, e nello stesso tempo sa affrontare realisticamente l’indebolimento e la vecchiaia. Sa dare del tu alla morte».
Dal punto di vista della fede?

«Con la secolarizzazione viene meno una visione della vita come cammino verso una pienezza che si dà oltre la morte. Questa capacità di immaginare il futuro, questa luce che illumina l’umano si è molto limitata negli ultimi anni, di fronte a una cultura che punta tutto sul presente. La vecchiaia, la morte, non illuminate da una speranza oltre la vita, riescono tanto più tetre ed oscure».

Di Vincenzo Guercio

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