Esce un importante volume firmato da Danilo Chirico e pubblicato da Rubbettino. Settant’anni di storia che, come dice Enzo Ciconte nella prefazione, “colmano un vuoto”
Per capire da dove arriva il movimento che lotta la ‘ndrangheta bisogna mettere assieme le storie. Bisogna partire da quella di Giuditta Levato e delle lotte per la terra. E’ importante conoscere la rivolta delle “gelsominaie” e degli anarchici di Africo. E’ fondamentale ripercorrere le vicende personali e politiche di sindaci come Mommo Tripodi e Peppino Lavorato, e di preti come don Italo Calabrò. Poi bisogna andare avanti, e attraversare le battaglie per il lavoro, per l’ambiente, per i diritti. Solo così si riesce a comprendere fino in fondo quanto sia stato, e in parte è ancora, importante quel pezzo di società impegnata sul fronte antimafia calabrese.
E’ questa la via seguita da Danilo Chirico nel suo “Storia dell’Antindrangheta” (edito da Rubbettino, 16 euro) in libreria in queste ore. Un volume che mancava, arrivato a “colmare un vuoto”, come dice il professore Enzo Ciconte, nella sua prefazione. Settant’anni di storia, nel corso dei quali vicenda dopo vicenda si ricostruisce un percorso fatto di alti e bassi, di momenti in cui ha prevalso l’entusiasmo o lo scoramento, ma che messi assieme spiegano come sia maturata e cresciuta una consapevolezza importante.
Nelle pagine di Chirico sono impresse le storie di uomini e donne che inizialmente non sapevano di combattere boss e picciotti. Quasi sempre al centro della contesa c’era la richiesta di diritti, il lavoro, l’ambiente, la salute, la scuola, la libertà. I clan c’erano già ovviamente, assieme ai loro interessi. Ed è quando i diritti di tutti hanno iniziato a collidere con gli interessi di alcuni che lo scontro è diventato violento.
Siamo negli anni ’70-’80 e vengono uccisi il mugnaio Rocco Gatto, lo studente Francesco Vinci, i comunisti Peppe Valarioti e Giannino Losardo. E’ una fase in cui gli interpreti del conflitto sociale fanno il salto di qualità e diventano antimafia. Associazioni, comitati, coordinamenti, gruppi, pezzi di partito con in testa il Pci e di chiesa, diventano un unico strumento di lotta contro la ‘ndrangheta, mentre neppure la magistratura era ancora in grado di leggere le dinamiche e l’ascesa delle cosche. Sono del 1977 le prime manifestazioni contro i boss nella Piana di Gioia Tauro, poi quelle degli studenti di Vibo Valentia e Polistena.
Nel 1985 il Partito comunista costruisce i “Comitati” antimafia, un crescendo consapevole che culmina nel 1991 quando, in piena guerra di mafia, la Marcia della Pace Perugia Assisi, per la prima e unica volta in 60 anni, lascia l’Umbria e si svolge a Reggio Calabria. Danilo Chirico racconta gruppi, da un volto a ogni protagonista, fino agli anni della grande crisi dell’antindrangheta calabrese dell’ultimo decennio, fatto di protagonismi vuoti, di parole senza fatti, di scandali, di slogan utili a carriere politiche e incarichi. Ora, dice Chirico, “l’antimafia calabrese ha bisogno di nuovo impulso”. Perché accada è utile conoscere il passato, e ora c’è anche lo strumento per farlo.