Ora che i marò sono a casa, si può conoscere qualche retroscena di quella storia. Di quando, ad esempio, il 5 marzo 2012, venti giorni dopo l’incidente della petroliera Enrica Lexie, il tribunale di Kollam ordinò alla polizia indiana del Kerala di portare Girone e Latorre in carcere. «Per chi non avesse mai visto un detenuto dell’India tropicale – racconta Andrea Angeli, un globetrotter della diplomazia, uomo delle Nazioni Unite che non s’è perso uno scenario di guerra negli ultimi venti anni, e che nei 18 mesi del governo Monti fece da assistente e portavoce del sottosegretario Staffan de Mistura – è presto detto: scalzo, con solo un pareo bianco in vita e una stuoia in dotazione da appoggiare sulla spalla sinistra durante gli spostamenti».
Ecco, ora che possiamo saperne qualcosa in più, arriva un provvidenziale libro di Angeli (Kabul-Roma. Andata e ritorno via Delhi, ed. Rubettino) che ci regala squarci sulle ore concitate che vissero quel governo e in particolare il sottosegretario de Mistura, spedito in India a gestire il problema. Quella notte Staffan non si perse d’animo «puntando molto sullo status di militari dei due italiani e facendo delicatamente capire che non avrebbe lasciato il carcere fino alla soluzione della controversia. Più ancora, sarebbe stato pronto ad andare in cella con loro nella malaugurata ipotesi che l’ordine giudiziario fosse stato interpretato rigidamente. Intorno alle due di notte, il direttore Jakob, sfinito, accettò il mantenimento del trattamento speciale di cui avevano goduto fino a quel momento. I due parei bianchi destinati ai marò furono riposti in magazzino».
Staffan de Mistura fu nuovamente mobilitato il 12 marzo 2013, con il governo ormai agli sgoccioli, quando il ministro degli Esteri Giulio Terzi annunciò che non avrebbe rimandato indietro i due marò. Furono giorni di fuoco: l’India quasi ci avrebbe voluto dichiarare guerra, il governo Monti cambiò idea, il ministro degli Esteri diede le dimissioni. Staffan fu chiamato da Monti nel corso di «una riservatissima telefonata in cui gli veniva chiesto di negoziare un ritorno indolore per i due marò a Delhi». De Mistura si chiuse in una stanza dell’ambasciata indiana a Roma. «Aveva poche ore a disposizione per rimettere le cose indietro “quasi non fosse successo niente”.
«La questione più delicata che de Mistura dovette discutere con il ministro consigliere Ravi Shankar fu in primis il salvacondotto per Latorre e Girone dall’aeroporto di Delhi alla residenza diplomatica e la possibilità di continuare a godere del regime di libertà provvisoria». De Mistura uscì dall’ambasciata con una garanzia ufficiale. «Tuttavia sia lui che il premier si assunsero un’enorme responsabilità». Perché lo fecero? È la domanda attorno a cui tutto ruota da tre anni. «Per evitare che l’Italia venisse dipinta come una nazione che non mantiene la parola data. E appariva ormai chiaro che il rinnegare il pacta sunt servanda nel nostro caso non godeva del sostegno Ue, Onu o Usa».
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