Da Il Quotidiano del Sud del 1 agosto 2014
Nord e Sud, dentro e fuori, infanzia e maturità, famiglia d’origine e famiglia creata, ricordi, situazioni, lessico familiare, come suggerisce lo stesso Nisticò citando la Ginzburg, ricerca della libertà e della felicità attraverso un’analisi che non ammette menzogne e non si nasconde dunque dinanzi alle verità più cocenti.
Ed ecco che con mano ferma e con una attenzione perfino ai dettagli, Massimo Felice Nisticò ci porta all’interno di una famiglia patriarcale per raccontarci qualcosa che di solito viene trascurato, cioè il rapporto tra madre e figli, tra padre e figli, ma in maniera insolita, un po’, per intenderci, alla maniera in cui lo fece Elio Vittorini in Conversazione in Sicilia. Ma dicendo dentro e fuori evocavo anche un altro scrittore, Nello Saito, che seppe darci l’affresco di una realtà meridionale offrendo i due punti di vista, quello isolano e quello continentale, cioè quello estraneo alle abitudini e alle convenienze delle tradizioni.
Un po’ quel che accade anche in Sono finite le stelle cadenti, titolo bellissimo che sintetizza perfettamente il senso recondito del romanzo con una lucidità assoluta.
Ma torniamo agli eventi. Giancarlo Martelli si è sposato con Giulia, ha due figli e vive al Nord, lontano dal paese di origine. Alla morte del padre è costretto a ritornare e così ogni cosa della sua infanzia e della sua giovinezza si riaffaccia con prepotenza facendogli rivivere atmosfere lontane, sensazioni ch’erano state cancellate o comunque abbandonate in un angolo remoto del suo essere. E così la figura del padre s’impone in tutta la sua ingombrante presenza con fotogrammi che hanno una bella misura filmica, con le antiche parole da lui dette e ridette che disegnano il carattere dell’uomo e comunque fanno affiorare motivi di dissenso e altro, in un crogiuolo che rimette in gioco una parte del mondo di Giancarlo.
Entrano in questa sorta di obbligata comunione anche la madre, il fratello Roberto (che sembra essere il suo alter ego) e Luciana, la compagna liceale che lo iniziò al sesso e ai sentimenti, alle emozioni e alla conoscenza del proprio essere. Ma non tutto frana, anzi Giancarlo trova la forza del ritorno e se “sono finite le stelle cadenti” tuttavia la propria educazione sentimentale non ne è compromessa, anzi forse ne è corroborata, visto il percorso, il viaggio così bene raccontato dallo scrittore che non arretra dinanzi a niente e vuole a tutti i costi darci lo spaccato di una condizione umana e di un’epoca molto particolare.
Il libro pone domande fondamentali alle quali è difficile dare risposte definitive. Che cos’è l’amore, che cos’è la felicità, che cos’è la famiglia, che cos’è la crescita, che cosa sono le origini, che cos’è l’identità. Nisticò non mette le vesti del sociologo né quelle del filosofo, narra, apre gli scenari, li riempie di quell’ansia di vita necessaria perché le pagine diventino piacere di confronto e lascia al lettore le risposte con la convinzione che non c’è nulla “di più concreto della letteratura… E’ il pensiero scritto… è l’anima del mondo! Cosa c’è di più tangibilmente vitale, eh?”.
Ma, come diceva Oscar Wilde, “non esistono libri belli o libri brutti, ma soltanto libri scritti bene o scritti male”. Questo libro è scritto bene non solo per come sono presentati i fatti nella loro essenza, ma soprattutto per come sono approntate le indagini psicologiche dei protagonisti che hanno tutti un cuore, un palpito e, nelle mani, una manciata di stelle cadenti.
Di Dante Maffia
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