In occasione dell’uscita del suo nuovo libro, Carlo Antoni. Un filosofo liberista (Rubbettino), Francesco Postorino, insegnante di filosofia politica e morale, ha parlato con la redazione del Conservatore del suo testo, cercando di inquadrare la figura del filosofo Carlo Antoni, liberista e discepolo di Benedetto Croce.
In che modo lo studio del pensiero di Carlo Antoni può aiutarci a riflettere sui destini della libertà individuale?
Carlo Antoni ha sempre lottato contro quelle che reputava le «cattive» interpretazioni dell’individualità. Non amava molto Hegel, il romanticismo tedesco e la corrente filosofica della Kierkegaard-Renaissance. Condivideva in parte con essi la reazione all’universalismo d’ispirazione illuminista; nondimeno, ha sempre messo al centro l’individuo nella sua interezza spirituale. Egli ha cercato di recuperare la tradizione del giusnaturalismo, con l’intento di proteggere dalle insidie dell’irrazionalismo, e da ogni forma di paganesimo, quell’idea elusiva di umanità introdotta dal cristianesimo e portata avanti con coerenza dall’umanesimo laico. Oggi, dinanzi agli effetti nocivi della sentenza nichilistica della morte di Dio e di un turbo-capitalismo che divora le nostre interiorità, mi sembra quasi doveroso rivisitare la figura e le opere di un pensatore che non ha mai rinunciato all’universale.
Come spiega lo scarso interesse nei suoi confronti?
Non si spiega. Sono pochissime le monografie e i saggi su di lui. L’intento del mio libro è proprio quello di riportare all’attenzione uno studioso importante e provare a far emergere convergenze e sottili differenze fra Antoni e il suo maestro Benedetto Croce.
Che importanza hanno per Antoni l’arte e la storia?
Ho dedicato il primo capitolo del mio libro all’Estetica di Antoni. Salvo errore, nessuno ha dato finora importanza alla sua lettura filosofica dell’arte. Antoni sposa i contenuti crociani dell’estetica, ma aggiunge un tocco significativo che la rende ancora più attuale. Nella mia interpretazione, l’«io-bambino» disegnato da Antoni, quale nitida esemplificazione di un’immagine artistica, resiste al vizio utilitarista, all’eccessivo moralismo e all’intellettualismo matematico e scientista. L’«io-bambino» è un sogno, la rêverie nel senso di Gaston Bachelard, un’espressione perfetta che non può essere ferita dal «virtuale», dal «postmoderno» e dalla narrazione capitalistica. Antoni, con il suo abito idealista, ci interroga sulla validità trascendentale dell’arte nel secolo della «morte dell’arte». Per quel che concerne il secondo aspetto, andrebbe riferito che Antoni non è uno storicista fazioso o imprudente. Ama l’immanente, e quindi il senso storico degli eventi, ma non volta le spalle all’essenza.
Nel suo libro dedica ampio spazio alla filosofia e al liberalismo di Croce. Antoni, però, come si poneva di fronte al liberismo economico?
La ringrazio per questa domanda perché mi consente di chiarire un punto importante. Il titolo del mio libro (Carlo Antoni. Un filosofo liberista) non deve trarre in inganno. Sì, Antoni era un liberista. Ma il suo liberismo era talmente sui generis che non andrebbe superficialmente accostato a quello istituito dalla cultura anglosassone, e non avrebbe neppure molto a che vedere con il liberismo economico promosso da un suo interlocutore privilegiato come Luigi Einaudi. Sostengo che il suo liberismo s’iscrive paradossalmente nel contesto crociano, in quanto collima con la prima sezione pratica dello spirito enunciata da Croce stesso: l’utile. Esso è la reazione produttiva contro le facili inerzie che ci colpiscono nella vita di tutti i giorni. Una vita viva, reattiva, agile, condotta con spirito di sacrificio e passione risponde all’esigenza spirituale dell’utile. Solo che l’utile di Antoni non è esattamente l’utile crociano. Quello di Antoni sfugge alla sua precipua natura e di conseguenza si trova al confine tra l’Estetica – ovvero il tratto inventivo dell’essere umano – e la morale da interpretare come il fine inesauribile di ogni singola individualità. Il suo liberismo, pertanto, è d’impronta idealistica e si pone al servizio della creatività individuale, ed è molto particolare anche perché si lascia accompagnare da un sano sentimento equità. A tal proposito, mi piace utilizzare l’espressione: «liberismo egualitario», che forse ben sintetizza l’idea alquanto controversa sebbene stuzzicante del suo pensiero politico.
Quanto e in che modo il linguaggio teoretico di Antoni condiziona le sue scelte politiche?
È la tesi cruciale del volume e ne ho fatto cenno prima. Non pochi interpreti si limitano ad analizzare con sguardo storiografico, sociologico o politologico i lavori dei neoidealisti italiani. Credo sia un errore. Per capire ad esempio il pensiero politico di Croce, occorre conoscere e approfondire il suo nesso categoriale, e lo stesso vale per Antoni. La teoria politica di quest’ultimo è influenzata dal suo impianto speculativo, che ancora una volta riflette il sistema del suo «immortale maestro». Antoni accetta le quattro categorie dello spirito, vale a dire quegli universali (Estetica, Logica, Utile ed Etica) che non abitano nel cielo dell’iperuranio platonico, ma preservano una specialità trascendentale che li rende, da un lato, invariabili e intramontabili, dall’altro, sempre a contatto con le ragioni della vita. In ogni modo, le scelte etico-politiche del filosofo triestino, maturate intorno agli anni ’40 del secolo scorso in occasione della riproposizione del suo Partito Liberale e terminate più o meno in concomitanza con la nascita del Partito Radicale di cui era sostenitore, rientrano – va ribadito − nella cornice epistemologica del neo-idealismo italiano. Il suo liberismo, come dicevo prima, è ambientato nel quadro circolare dei «distinti» che egli rinnova con intelligenza ermeneutica. Si tratta, a mio avviso, di un punto imprescindibile al fine di cogliere la peculiarità del suo modo di argomentare e di riflettere.
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