Da Calabria on web
L’ultimo libro di Francesco Bevilacqua – “Il Parco nazionale del Pollino – Guida storico-naturalistica ed escursionistica” (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014, pp. 700, € 28,00) pesa un chilo e seicento grammi per 700 pagine, 152 itinerari, 650 foto a colori.
Se non sbaglio dovrebbe essere la diciottesima pubblicazione di chi ho avuto già modo di definire uno “scrittore seriale”, quelli che si attaccano ad un personaggio e ne reiterano, scavando sempre più in fondo, le vicende. Nel suo caso il personaggio – sempre lo stesso ma mai identico a se stesso – è la Calabria e la sua bellezza raccontata nelle sue infinite sfaccettature attraverso l’esperienza di un infaticabile camminatore.
Dopo tanto scrivere e camminare è il caso di definire meglio chi è Francesco Bevilacqua, o meglio come inquadrare la sua scrittura, il suo raccontare. Lui ama definirsi “cercatore di luoghi perduti” che cura, attraverso libri, foto, filmati, narrazioni, una malattia endemica in Calabria: l’amnesia dei luoghi.
Ci sta! Ma Bevilacqua è anche un visionario, con la sua prosa che tracima di immagini, e soprattutto uno storico della natura, uno che crea sentieri lasciando tracce, come tutti gli storici. Uno che passa, cammina, e mette un segno rosso, un segnale colorato per indicarti il percorso. Gli alberi sono là, che ti piaccia o meno, ma i sentieri, quelli, qualcuno li deve creare, mantenere, perché senza un sentiero non riesci a vedere nulla. Deve esserci qualcuno che segna il cammino perché senza un sentiero sei costretto a tenere lo sguardo a terra a vedere dove metti i piedi e non puoi apprezzare niente di quello che c’è intorno. Solo dopo aver tracciato un sentiero si può insegnare, spiegare cos’è un albero. Insegnare che tanti alberi creano una foresta e che un modo di pensare alla foresta è concepirla come luogo capace di contenere sentieri. Infine puoi indicare quello che ritieni sia il sentiero migliore per attraversare la foresta riconoscendo, tuttavia, che ne esistono altri. E i sentieri non disturbano la natura.
E’ questo il compito dello storico e non a caso la citazione è tratta da un libro straordinario, Novecento di Tony Judt. Ed è esattamente quello che fa Bevilacqua con i suoi libri: prima traccia sentieri veri e poi aggiunge le sue geografie morali, le sue descrizioni emozionali che i lettori di “Calabria on web” dovrebbero oramai ben conoscere.
Cos’è il Pollino? E’ terra di grandi pianori, di cime brulle, di folti boschi, di molta acqua. E’ terra di profumi intensi e di colori cangianti. Di incontri inaspettati e di sentieri di stelle. E’ pancia del Mediterraneo. Chi lo conosce sa che è un luogo irresistibile, imprevedibile, un luogo che ti cattura e che ti proietta in altre dimensioni, i cui dettagli si stampano nella mente ed è difficile perderli anche a distanza di tempo. Un posto che ti fa girare come una trottola, con l’anima in pena, sempre li ad afferrare qualcosa che poi puntualmente sfugge, l’imminenza di una rivelazione che non si produce e ti lascia stordito, come le belle passanti di de Andrè che non siamo riusciti a trattenere.
L’introduzione del libro è già un piccolo trattato sull’arte o sulla magia del camminare, o meglio sul viaggiare a piedi. Quando si cammina ogni luogo è desiderio ma anche attesa dello spirito e nella sua particolare premessa Bevilacqua riesce a rendere chiaro questo concetto.
Particolarmente interessante è tutta la prima parte, un libro nel libro considerato che occupa 200 pagine.
Nel primo capitolo, “Natura e storia” finalmente Bevilacqua si sofferma, come mai, sulle vicende storico e sociali che hanno caratterizzato l’area del Pollino, dal paleolitico ai nostri giorni, con la pubblicazione di foto d’epoca molto interessanti, ripercorrendo le vicende che hanno portato alla istituzione del Parco. Oggi tutto sembra scontato, ma anche in questa esperienza di tutela, che ha vissuto in prima persona, il rischio della devastazione ambientale, in cui noi calabresi siamo oltremodo abili, è stato molto concreto.
Il secondo capitolo “Geografia, paesaggio, problemi di conservazione e sviluppo” non è meno interessante. L’operazione di dividere in gruppi i monti e alcuni luoghi del Pollino rende più semplice la comprensione della geografia del grande parco anche con riferimento allo sviluppo degli itinerari della seconda parte. Questo capitolo contiene il paragrafo “Problemi di conservazione e sviluppo” che è un po’ la summa di precedenti scritti di B. Penso anzitutto a Genius Loci, quello che considero il suo più bel libro, un racconto mediterraneo intriso di sperdimento.
La descrizione della flora e della fauna chiudono questa prima parte del libro.
La parte seconda e tutta dedicata alle escursioni: 152 itinerari suggellati da centinaia di foto per cercare di entrare nel cuore del parco, nei suoi più remoti luoghi, di cui solo una trentina attualmente segnalati.
E non è un caso che nella premessa alle escursioni B. si soffermi sulla necessità di narrare il senso dei luoghi.
La narrazione è elemento indispensabile della sua scrittura, per dare un senso alla vita, alle cose, ai luoghi. Certo, il senso di inadeguatezza delle parole di fronte allo strapotere della natura è ben presente; ma le narrazioni di B. cercano sempre una dea, una ninfa, un mito, una pietra, un albero, una fonte, un pastore, per cercare di imprimere nella mente ciò che spesso non si ritrova più con l’antropizzazione dei luoghi. Ed il tempo arriva fin dove si “inventa” una memoria.
Scrive Bevilacqua “Mi interesso del Pollino e vi cammino da più di trentatrè anni. Negli ultimi tempi di questo lungo lavoro di ricerca, di esplorazione e di scavo, si è prodotta nella mia mente, naturalmente, la definizione di Pollino parco dei parchi. Perché al suo interno troviamo una straordinaria varietà di ambienti, culture e bellezze naturali. Che non ha eguale in Europa.”
Ma non fatevi ingannare! Perché è chiaro, alla fine della lettura, che per Bevilacqua il Pollino è soprattutto un luogo dell’anima, più che un oggetto di studio.
di Claudio Cavaliere
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