Da La Civiltà Cattolica del 16 Novembre
Da quando Benedetto XVI ha messo il tema delle istituzioni al centro del magistero sociale della Chiesa sono ancora pochi i lavori che approfondiscono gli ambiti della dimensione che l’enciclica Carítas in verítate definisce come la «via istituzionale della carità» (n. 7). Su questo sentiero si colloca la ricerca dell’A., professore di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense, che chiarisce il ruolo e il significato delle istituzioni fondate sull’antropologia cristiana.
Nonostante l’eterogeneità delle figure analizzate – Luigi Sturzo, Alessandro Passerin d’Entrèves, Wilhelm Rópke, Luigi Einaudi, Lord Beveridge; da un economista riformatore abruzzese del Settecento come Melchiorre Delfico fino a Benedetto XVI -, il lettore è provocato a confrontarsi con una corrente di pensiero quasi dimenticata. Il confronto proposto dall’A. si basa sulla possibilità di definire «un’etica intrinseca» alle teorie dell’economia civile e dell’economia sociale di mercato, liberandole da fraintendimenti e cattive interpretazioni che ne hanno condizionato a lungo la ricezione all’interno della riflessione accademica e pubblicistica.
Così, soprattutto la parte centrale del volume invita a non contrapporre Stato e mercato, per non relegare nell’angolo «la persona e le sue dimensioni relazionali»: occorre, secondo l’A., comporre una «visione poliarchica dei poteri», in cui ciascuno, nel proprio ordine, soggiace a regole e produce norme di comportamento per gli attori che ne consentano il funzionamento e il mantenimento. E questo principio vale anche per le società complesse.
È per questo che è presentata la corrente culturale, sorta in area germanofona, denominata «liberalismo delle regole» (ordoliberalismo), che si basa su una visione dei poteri – pubblici, statali o privati – che include gli elementi formali e materiali della vita associata. Secondo l’A., questa corrente di pensiero – che permette di non confondere i piani tra ciò che è la prassi e i valori – richiama il politico a non imporre scelte etiche, e l’autorità religiosa a non prescrivere soluzioni tecniche nello spazio pubblico.
La prospettiva dell’ordoliberalismo potrebbe contribuire a formare una nuova cittadinanza europea, fondandola sui valori della libertà, dell’innovazione e del progresso. Tuttavia la proposta, per non essere considerata ingenua o utopistica, richiede un nuovo «patto umano» tra Governi, società e cittadini. In altre parole, si tratta di formare «tanti moltiplicatori di capitale sociale» quante sono le sfere dell’agire pubblico, in modo che ciascuna di esse possa trarre benefici dal buon funzionamento delle altre.
Il volume è attraversato da tesi liberali (non liberiste, però), destinate ad aprire un dibattito anche all’interno delle stesse comunità cristiane: la costruzione di nuove governances; la conciliazione tra le logiche del mercato e del sociale; il significato liberale di economia sociale; la distinzione tra «economia sociale di mercato» ed «economia di mercato sociale»; l’integrazione dei princìpi di sussidiarietà e di poliarchia con i concetti di mercato, competizione e impresa.
«In definitiva – scrive l’A. -, non si tratta di puntuali interventi nel mercato su “base sociale” quanto soprattutto dell’accesso senza privilegi al mercato». Se il Paese vuole scommettere su un’economia sociale di mercato competitiva, sono necessari «uno Stato forte per un mercato libero e un’impresa dinamica». E, aggiungiamo noi: prevedendo forti garanzie per i più deboli.
di Francesco Occhetta
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