Flavio Felice illustra l’Economia sociale di mercato

del 11 Novembre 2013

Da Dailygreen.it

“La speranza è che questa consapevolezza della fine di un’era accomuni e conduca le classi dirigenti economiche, politiche e culturali a livello globale a riconsiderare la rilevanza della cultura delle regole anche per la disciplina dei mercati. La libera concorrenza è un bene troppo importante perché affondi sotto i colpi dell’irresponsabilità, dell’ingordigia o dell’ignoranza di banchieri, manager e politici. È necessario comprendere che il libero mercato non esiste al di fuori delle regole della libera concorrenza. È questo, forse, il lascito più prezioso e significativo che ci giunge dalla rilettura delle opere dei padri dell’economia sociale di mercato”.Probabilmente, non potevano esserci parole più efficaci per sintetizzare la necessità di ripristinare un quadro di regole condivise all’interno del sistema politico ed economico del mondo occidentale sconvolto dalla “Grande Contrazione” di questi anni.
Flavio Felice, ordinario di “Dottrine Economiche e Politiche” alla Pontificia Università Lateranense, intravede nella riscoperta delle elaborazioni di autori come Eucken, Ropke e Bohm la chiave per riportare un ordine virtuoso dentro il nostro sistema. E lo fa illustrando le teorie di questi eminenti studiosi nel suo agile libro “L’economia sociale di mercato” edito dalla casa editrice Rubbettino nel 2008. A prima vista, questo comodo volume tascabile può sembrare una sorta di semplice carrellata tematica sull’argomento mentre, a un’analisi più attenta, delinea un sintetico quadro storico e culturale riguardo l’economia sociale di mercato.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di economia sociale di mercato?
A volerne dare una breve definizione si potrebbe dire che è un modello che ha come obiettivo quello di coniugare allo stesso tempo libertà di mercato e giustizia sociale, con lo scopo di tutelare le condizioni che permettono la piena espansione della personalità di ogni individuo tramite lo sviluppo della libera iniziativa e garantendo la proprietà privata. In quest’ottica, lo Stato appare come una forte autorità regolatrice senza riservarsi alcun ruolo d’intervento diretto nei processi produttivi, prevedendolo solamente quando questi meccanismi presentano limiti o problemi tali da ritenere necessario e conforme al sistema l’intervento dell’autorità pubblica.
Il volume di Flavio Felice parte dal tentativo di Ludwig von Mises di delineare un nuovo quadro politico, economico e sociale dopo la fine della prima guerra mondiale. È infatti del 1919 la pubblicazione del libro “Nation, Staat und Wirtschaft” (“Nazione, Stato ed Economia”) dove von Mises cercava di teorizzare un liberalismo scevro da fascinazioni di stampo nazional-socialiste. Tuttavia, il volume dello studioso di Lemberg fu un insuccesso in quanto, come sottolinea Felice, “in quel clima le forze liberali si mostrarono estremamente deboli rispetto alle tentazioni dello statalismo autoritario e di altri movimenti popolari ancora in embrione”. La successiva caduta della Repubblica di Weimar e il travolgente trionfo del nazionalsocialismo compromisero le possibilità di riformare in senso liberale le strutture della politica e dell’economia in Germania pur se un gruppo di autorevoli studiosi, raccoltisi intorno alla figura di Walter Eucken, dette vita a un importante movimento culturale che prese il nome di Scuola di Friburgo e connotando la loro filosofia politica ed economica come “ordoliberalismo” (dal nome della rivista “Ordo” che Eucken fondò nel 1940).

Partendo dalla critica alle teorie di Adam Smith riguardo il mercato e il suo funzionamento (la famosa “mano invisibile”), le elaborazioni del gruppo ordoliberale “hanno contribuito in modo sostanziale all’evoluzione della teoria economica, ed in particolar modo a quella branca dell’economia che incontra il diritto, e del diritto che incontra l’analisi economica, avendo sostenuto l’idea che il sistema economico per esprimere al meglio le proprie funzioni produttive-allocative dovrebbe operare in conformità con una ‘costituzione economica’ che lo Stato stesso pone in essere […] si tratta di una visione politico-economica che non ha nulla a che vedere con la pianificazione economica centralizzata o con una politica statale interventista. Per il semplice motivo che il ruolo dello Stato nell’economa sociale di mercato non è semplicemente quello di ‘guardiano notturno’, tipico del liberalismo del laisser-faire, bensì è quello di uno ‘Stato forte’ che si preoccupa di contrastare l’assalto contro il funzionamento del mercato da parte dei monopoli e dei cacciatori di rendite”.
Tra gli studiosi che più contribuirono all’elaborazione e alla definizione delle teorie ordoliberali possiamo annoverare senza dubbio economisti di rilievo come Alexander Rüstov e Wilhelm Röpke e illustri giuristi come Hans Grossman-Dörth e Franz Böhm. Nel 1936, in pieno periodo nazista, questo eminente gruppo di intellettuali redasse il noto Manifesto dell’Ordoliberalismo passato alla storia come “Il nostro compito”. Sottolinea Felice che “il contributo più originale dell”ordoliberalismo’ è stato di aver aggredito le problematiche del mercato concorrenziale a partire da un approccio istituzionale. Gli ‘ordoliberali’ hanno colto l’idea che l’ordine concorrenziale è di per sé un ‘bene pubblico’ e in quanto tale andrebbe tutelato. La scuola di Friburgo ci aiuta a comprendere che esiste una dimensione istituzionale nel paradigma liberale, dimensione negata o, quanto meno, assente in gran parte della letteratura liberale di matrice libertaria, accecata dall’idea che possa esistere un ‘mercato non intralciato’. Il programma di ricerca degli ‘ordoliberali’ ha incentrato l’attenzione sul fatto che l’idea liberale di una società libera è un’idea costituzionale, che necessita di una formalizzazione costituzionale”. In estrema sintesi, un liberalismo delle regole.
Tuttavia è con Wilhelm Ropke che l’economia sociale di mercato inizia ad acquisire un profilo più ampio e organico. Con il suo contributo si viene a delineare una sorta di “terza via” tra il liberalismo classico e il socialismo dove soprattutto lo Stato svolge una funzione di garanzia del libero mercato contrastando la formazione di monopoli, cartelli e abuso di posizione dominante. Sotto questo profilo, Ropke giustifica l’intervento dell’autorità pubblica a condizione che ripristini le corrette regole del gioco, sia conforme alle leggi di mercato e si astenga dal promuovere interventi invasivi nel sistema economico. E qui Flavio Felice mette in evidenza come “lo specifico apporto di Wilhelm Röpke è consistito nel tentativo di elaborare una nuova teoria dell’ordinamento sociale […] il cui sistema prese il nome di Ordotheorie o Ordoliberalismus, e più tardi venne chiamato ‘economia sociale di mercato'”. “Primogeniture a parte – continua Felice – con l’espressione ‘economia sociale di mercato’ si vuole caratterizzare una economia di mercato che soddisfi anche le esigenze di giustizia”.
Ma il pensiero di Ropke non si limita al solo campo politico ed economico, allarga la propria visuale abbracciando l’essenza stessa del liberalismo. Chiedendosi appunto in cosa consistesse il pensiero liberale, Ropke si risponde che “esso è umanistico. Ciò significa: esso parte dalla premessa che la natura dell’uomo è capace di bene e che si compie soltanto nella comunità, che la sua destinazione tende al di sopra della sua esistenza materiale e che siamo debitori di rispetto ad ogni singolo, in quanto uomo nella sua unicità, che ci vieta di abbassarlo a semplice mezzo. Esso è perciò individualistico oppure, se si preferisce, personalistico”. Per Ropke, pertanto, il liberalismo è un corpus di idee e non una dottrina dogmatica, un pensiero profondamente umanistico che si rifà “alla tradizione dell’antiperfettismo e del realismo cristiano, di Agostino, di Pascal, di Rosmini, di Sturzo, fino ad arrivare a Giovanni Palo II, per il quale l’uomo, benché tenda verso il bene è pur sempre capace di male. Esso è personalistico, poiché ‘in conformità alla dottrina cristiana, per cui ogni anima umana è immediatamente dinanzi a Dio e rientra in lui come un tutto, la realtà ultima è la singola persona umana non già la società, per quanto l’uomo possa trovare il proprio adempimento soltanto nella comunità’. Esso, inoltre, è antiautoritario, rendendo a Cesare quello che è di Cesare, ma riservando a Dio ciò che qualifica il suo rapporto con l’Assoluto: per il Cristianesimo è la coscienza individuale che giudica il potere e non viceversa; esso, dunque, rifugge da ogni forma di nazionalismo, razzismo e imperialismo; in breve, è universale”. In estrema sintesi, possiamo dire che il neoliberalismo di Ropke si delinea come un vero e proprio umanesimo economico dove bisogni di natura morale si conciliano e coordinano con esigenze di carattere istituzionale; un contesto dove, per citare una famosa frase dello stesso Ropke, “un buon cristiano è un liberale che non sa di esserlo”.
Verso la conclusione del suo libro, Felice dedica un breve capitolo alla ricezione italiana delle tematiche dell’economia sociale di mercato mettendo in evidenza il ruolo di influenti personalità del mondo della politica, dell’economia e del diritto come Benedetto Croce, Luigi Einaudi e Guglielmo Ferrero; senza dimenticare, all’interno del mondo cattolico, figure come Alcide De Gasperi e Don Luigi Sturzo. E proprio del prete di Caltagirone, Flavio Felice ne mette in evidenza le battaglie contro lo statalismo imperante in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale. Secondo Sturzo, lo statalismo era una vera e propria degenerazione in quanto smussava il concetto base di ogni attività imprenditoriale e cioè il rischio economico, attenuava il senso di responsabilità nella gestione delle risorse e generava corruzione e clientela nei gangli centrali e periferici dello Stato stesso. Al contrario, scrive Felice, “Sturzo qualifica la sua posizione politico-economica con le caratteristiche tipiche dell’economia sociale di mercato […] in primo luogo, la libertà è unica e individuale […] in secondo luogo, la libertà è espressione dell’autodisciplina oltre che della regolamentazione legislativa ‘per la coesistenza e il rispetto dei diritti e dei doveri reciproci’ […] E infine, la funzione principale dello stato sarebbe quella di ‘garanzia e di vigilanza dei diritti collettivi e privati’, di mantenere l’ordine pubblico, la difesa nazionale, la tutela e la vigilanza del sistema monetario e creditizio. E ancora, tutelare e vigilare sulla finanza pubblica e garantire la buona amministrazione”.
Economia sociale di mercato, quindi; un’elaborazione di decenni tra economia, storia, cultura, e politica che conserva una sua validità e una sua attualità soprattutto nel mondo contemporaneo, attraversato dalla più grave crisi economica e finanziaria dopo quella del 1929. Ed è in questo contesto che Flavio Felice ha inteso offrirci questa interessante panoramica: “Con il presente lavoro intendiamo rappresentare in modo sintetico e necessariamente schematico le ragioni storiche e teoriche che condussero alcuni scienziati sociali tedeschi a contrapporsi all’abominio nazista e comunista, proponendo un sistema economico e sociale basato sull’economia di mercato, sulla libera iniziativa, sulla lotta ai monopoli (tanto pubblici quanto privati) e sulla stabilità monetaria [coltivando] altresì la speranza che la libertà, la responsabilità e la creatività, che insieme alla fallibilità e all’ignoranza contraddistinguono la costituzione fisica e morale della persona umana, ispirino le proposte politiche ed economiche della maggioranza di coloro che hanno chiesto agli elettori italiani (e ottenuto) di svolgere il difficile mestiere del legislatore”.

Intervista di Simone Morichini

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