Da Ilsussidiario.it del 7 novembre
Secondo il filosofo franco-algerino Fabrice Hadjadj, non si comprende il nostro tempo senza la consapevolezza che viviamo non più in un’epoca ideologica, ma in un’epoca tecnologica: il documento più importante del Sinodo sulla famiglia sarebbe quindi l’enciclica Laudato si’, che vede nel cambiamento di vita l’unica possibile uscita da una post-modernità che, mettendo in discussione la natura umana attraverso la tecnologia, nega ormai anche ciò che di buono l’epoca moderna aveva ereditato dal cristianesimo.
In una sua recente lezione sulla famiglia tenuta al Centro Culturale di Milano, Hadjadj ha infatti individuato la posta in gioco di fronte alla quale si trova oggi il cristianesimo proponendo un ripensamento dell’intero percorso filosofico dell’occidente. Ciò che ha detto si comprende nella più ampia cornice, propria della cosiddetta “svolta antropologica” della filosofia del Novecento, di un riposizionamento della questione del rapporto tra cristianesimo, modernità e post-modernità: innanzitutto tornando a riconoscere che le ideologie, nella loro duplice forma totalitaria e relativista, sono, secondo l’espressione di Chesterton, «verità cristiane impazzite». La modernità, come ha scritto recentemente Paolo Prodi riprendendo una nota tesi che risale a Karl Loewith, François Furet e Olivier Clément (e che oggi si ritrova in Ernst-Wolfgang Bökenförde e in Rémi Brague), non è altro che la trasformazione della profezia cristiana in «utopia» e «progetto rivoluzionario» (Paolo Prodi, Il tramonto della rivoluzione, Il Mulino 2015). Anche la versione debole della modernità (il relativismo) consiste infatti non certo nella rinuncia alla verità, ma piuttosto nell’identificazione di essa con il pensiero soggettivo: prova ne sia che il relativismo non teme di esporsi al rischio, come hanno notato Joseph Ratzinger e Zygmunt Bauman, di diventare assoluto, affermando che è vero che la verità consiste sempre in ciò che pensa il singolo.
Il relativismo è dunque ideologico, nel senso che fa dipendere la verità dal pensiero umano. Ma il contributo che Hadjadj offre al pensiero cristiano è non solo e non tanto la riproposizione di questa tesi, quanto soprattutto l’intuizione secondo la quale il relativismo, non riuscendo a fare a meno della verità, trova comunque il modo di portarne avanti la critica, attaccandone direttamente la sorgente: la rivelazione cristiana. E per farlo si serve della tecnologia: il cristianesimo non si sconfigge, se non si eliminano i motivi per i quali l’uomo ha bisogno di essere salvato da Cristo (vale a dire il limite e la sofferenza), attraverso lo stravolgimento totale della natura umana reso possibile dalla tecnica.
Quindi anche attraverso lo stravolgiento della famiglia, che, in quanto «luogo di un dono che ci sfugge» (Hadjadj), indica al pensiero che, nella natura umana, esistono un limite e una sofferenza e che la pretesa di eliminarli costituisce la più grande crudeltà. Quello che viene proposto è una specie di diritto alla felicità immediata usato come clava contro il cristianesimo, ma senza riconoscere che, come hanno di recente affermato, tra gli altri, Pierre Manent (Le metamorfosi della città. Saggio sulla dinamica dell’Occidente, Rubbettino 2014) e Marcello Pera (Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità, Marsilio 2015), era stata proprio la rivelazione cristiana ad aver introdotto il concetto di dignità e di sacralità della persona in occidente.
di Giuseppe Bonvegna
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