Da Cult di novembre
Il bisnonno era l’imperatore Federico II e del suo Regno di Sicilia voleva essere l’erede. Di fatto divenne re come suo nonno Manfredi, e lo fu per 41 anni. Tuttavia il nome di Federico III dice poco o niente alla maggior parte dei siciliani. La sua tomba senza nome nella Cattedrale di Catania la dice lunga sull’oblio sceso su questo sovrano. Federico aveva dieci anni quando arrivò in Sicilia dalla Spagna e «non si sentì mai straniero, ma siciliano fra i siciliani».
A sessant’anni dall’ultima biografia di Antonino De Stefano, un nuovo libro ricorda la figura di questo re dimenticato. “Il lungo regno” – 144 pagine, Rubettino editore, 12 euro – frutto di due anni di ricerche dello storico e saggista Pasquale Hamel, direttore del Museo del Risorgimento di Palermo. Il volume inaugura la nuova collana di studi e ricerche La nuova Regione promossa dall’Associazione ex deputati dell’Assemblea regionale siciliana e diretta dal docente Andrea Piraino.
Perché ha pensato di scrivere un saggio su questo sovrano?
«Da anni mi sono dato una sorta di missione che è poi quella di rileggere le vicende storiche che hanno interessato la Sicilia al di là di alcuni paradigmi tradizionali che ne hanno falsato la stessa narrazione. La mia attenzione si è rivolta soprattutto al Medioevo, periodo lontano ma al quale bisogna riandare per capire il nostro presente e cioè perché l’Isola, pur dotata di grandi potenzialità, continui a costituire una regione depressa non solo in termini economici ma anche in termini civili. Federico III, questo sovrano apparentemente minore, ci consente dí capire come le forme del potere hanno cominciato ad articolarsi».
C’è una ragione per cui Federico III è stato dimenticato?
«È stato vittima di una lettura ideologica delle vicende siciliane. Il pregiudizio unitario ha inciso in modo determinante. Su Federico III è caricata la gestione del dopo Vespro. Egli ha rappresentato l’idea di una nazione siciliana separata dal resto del Paese che difficilmente poteva essere accettata dalla storiografia ufficiale».
Una deliberata condanna all’oblio?
«Sì, anche se ingiusta. Egli difese strenuamente le ragioni della Sicilia e dei siciliani, ma è anche vero che il suo progetto politico andava al di là del Faro. Si riallacciava idealmente non tanto agli antenati normanni quanto agli antenati Hohenstaufen. Sono pienamente convinto che l’essersi voluto indicare come terzo piuttosto che come secondo, seguendo l’ordine cronologico dei sovrani siciliani, è spia di un ideale riferimento all’avo Federico Il e all’impero».
Che regno fu il suo?
«Il regno è durato ben quarantuno anni, di cui oltre trenta trascorsicombattendo contro nemici potenti e agguerriti. Un fisico eccezionale che riesce a sopportare enormi fatiche e l’orgoglio di godere, caso raro per un uomo di potere, del consenso generale del suo popolo che generosamente gli si stringe attorno».
Fu nemico degli Angioini, ma ancor di più fu nemico del papato.
«Federico contestava la legittimità della rivendicazione angioina, considerava Carlo d’Angiò un usurpatore, anche se quest’ultima era confermata dalla Chiesa di Roma che riteneva la Sicilia un proprio feudo. Ma queste erano ragioni politiche che non facevano di Federico un eretico. Egli fu cattolico osservante al punto da accettare l’ingiusta scomunica che il Papa gli commina. Si potrebbe dire, sempre che si potesse abusare del termine laicità, nel tempo ch’egli visse questo valore non esisteva, che fu sovrano laico che seppe separare il proprio credo religioso dai doveri che la corona imponeva».
di Laura Grimaldi
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