“Divorzio all’italiana”. Questo il titolo dell’inchiesta sugli effetti delle mancate attuazioni del federalismo fiscale e dell’autonomia differenziata trasmesso ieri sera da Report. Il servizio, firmato da Manuele Bonaccorsi, mostra i drammatici effetti per le regioni meridionali della mancata attuazione della legge del federalismo firmata nel 2009 dal leghista Roberto Calderoli.
Sulla carta, tale legge si presenta con un obiettivo preciso: attuare sul territorio italiano un federalismo che sia al tempo stesso efficiente e solidale, come sancito dalla Costituzione. La virtuosità della legge sarebbe dovuta essere garantita da un principio fondamentale, il superamento del criterio della spesa storica, che funzionava pressappoco così: “tanto spendi tanto ti viene riconosciuto dallo Stato”.
Per garantire tale superamento, lo Stato avrebbe dovuto stabilire e assicurare i LEP, ovvero i “livelli essenziali delle prestazioni”, i servizi essenziali ai quali hanno diritto i cittadini su tutto il territorio italiano. A tal fine, si decide di calcolare il costo corretto di questi servizi, il cosiddetto “fabbisogno standard”, che dovrebbe essere finanziato integralmente. Ma i LEP non sono mai stati attuati, allo stesso modo del Fondo di Solidarietà, che avrebbe dovuto aiutare i comuni in difficoltà.
Per comprendere la mancata attuazione della legge, Report prende in esame due comuni italiani con lo stesso numero di abitanti: Reggio Emilia e Reggio Calabria. I dati sono sorprendenti: Reggio Emilia ha 171 mila abitanti contro i 180 mila di Reggio Calabria, eppure, la prima spende 28 milioni in istruzione, mentre la seconda solo 9. E ancora: 21 sono i milioni spesi in cultura da Reggio Emilia mentre sono solo 4 quelli del comune calabrese.
E’ lo stesso sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, a dichiarare la differenza: «Sull’edilizia abitativa abbiamo come manutenzione ordinaria circa due milioni di euro l’anno, non ti bastano neanche per sostituire le maniglie delle terrazze. Se mettessi a bilancio un euro simbolico per programmare la stagione culturale della città, la Corte dei Conti mi boccerebbe il bilancio perché viola uno dei principi cardini del piano di equilibrio».
Come si è arrivato a tali differenze? La disparità è il frutto della mancata attuazione dei LEP. In assenza dell’identificazione dei “livelli essenziali delle prestazioni”, infatti, i fabbisogni sono stati stabiliti esclusivamente sulla base della spesa storica, secondo il principio del “tanto avevi speso, tanto ti do“. Questo spiega il motivo per il quale al Comune di Reggio Emilia, che offre più servizi, viene riconosciuto un fabbisogno di 139 milioni, mentre Reggio Calabria, che ha molti meno servizi, vengono riconosciuti 104 milioni, una differenza di 35 milioni di euro in meno rispetto al comune emiliano nonostante i 9mila abitanti in più.
Il risultato della mancata attuazione dei LEP viene così sintetizzato da Manuele Bonaccorsi nel suo servizio: «Nel sud sono abituati a non avere niente quindi possono anche andare avanti così».
Ma chi stabilisce i valori di tali fabbisogni? Il SOSE – Soluzioni per il Sistema Economico Spa, una società pubblica creata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla Banca d’Italia. Report ha incontrato Marco Stradiotto, responsabile della sezione finanza pubblica dell’azienda. Alla domanda circa la differenza tra i 59 euro pro capite di Reggio Calabria con i 2400 euro pro capite di Reggio Emilia, Stradiotto ha dichiarato: «Sulla base di quello che ci dice la normativa siamo andati a considerare quello che è il livello storico dei servizi». «Quindi avete lasciato le cose come stavano?» chiarisce Bonaccorsi, «e come potevamo fare diversamente?» ammette Stradiotto.
Un esempio della disparità tra le regioni italiane è data dalla seguente tabella del SOSE che indica i criteri secondo i quali la spesa sociale viene distribuita tra i comuni italiani. La spesa media pro capite è di 67 euro, solo che tale media si concretizza con una serie di variazioni: 10 euro in più ad un emiliano, 31 euro in meno ad un calabrese e addirittura 35 euro in meno ad un campano. I tecnici hanno chiamato tali variazioni “variabili dummy regionali.” Nome curioso, considerando che in inglese “dummy” significa “stupido” o “pagliaccio”. Ad approvare tali variabili regionali è stato Luigi Marattin, ex Presidente della Commissione Fabbisogni Standard e oggi deputato di Italia Viva.
Marco Esposito, giornalista de Il Mattino ed ex assessore allo Sviluppo Economico del Comune di Napoli ha denunciato tale disparità nel libro “Zero al sud”, pubblicato da Rubbettino nel 2018, dove dimostra come i fabbisogni dei comuni più deboli siano stati metodicamente sottostimati. «Scoprire – dichiara Esposito – che ci sono variabili territoriali, variabili razziste, come vogliamo dire, che in base al fatto di essere residente in un territorio ti spetta meno e quindi ti tolgo dei soldi da un anno all’altro, è stato agghiacciante».
A tal proposito, Esposito prende in esame i valori degli asili nidi. «Qui ho delle tabelle, ogni tanto me le guardo, perché veramente sono allucinanti, siamo arrivati al punto da stabilire che il livello giusto di asili nido può essere zero. Guarda un po’ qua, c’hai comuni anche popolosi, Caivano, Casoria, in provincia di Napoli, 70-80mila abitanti, fabbisogno riconosciuto zero virgola zero zero, con dodici decimali. Non contano i bambini, si dice che vale zero».
Con “Divorzio all’italiana” Report ha calcolato gli effetti della mancata applicazione della legge sul federalismo fiscale. Il comune che ha subito il peggior trattamento è Giugliano in Campania che avrebbe dovuto ricevere 33 milioni di euro per ogni anno. Reggio Calabria non ha ricevuto 41milioni di euro, 229 euro per ogni suo cittadino. A Crotone, invece, mancano 13 milioni di euro, mentre Catanzaro avrebbe dovuto ricevere 15 milioni. Al Comune di Napoli mancano 159 milioni, meno 165 euro per ogni cittadino.
Ma non aver applicato i LEP non significa solamente non aver applicato la legge. Significa anzitutto: «Condannare a una maledizione storica un territorio». come dichiarato dal conduttore di Report Sigfrido Ranucci. «Ad un amministratore virtuoso gli impedisci sostanzialmente di offrire un servizio al suo cittadino, di offrire istruzione, assistenza ai più deboli, generare lavoro. Chi ha stabilito questi criteri è una società pubblica e sono stati in qualche modo autorizzati dal consigliere economico di Renzi. E i criteri sono stati mascherati dietro un tecnicismo inglese, dummy, in nomen omen, tradotto significa stupido, pagliaccio e infatti ha partorito dei criteri che sfiorano il razzismo».
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