Camillo Ruini, Gaetano Quagliariello
Un’altra libertàContro i nuovi profeti del paradiso in terra
a cura di Claudia Passa
Libertà e perfezione: un’antinomia perpetua. Proprio perché l’uomo è un essere costitutivamente incapace di creare condizioni di perfezione – in qualsiasi ambito della sua propria esistenza – esso ha bisogno di essere libero. Ha necessità di sperimentare sulla propria pelle esperienze diverse, fallire e dunque rialzarsi: è in tal modo che la società procede. Non certamente secondo una linea retta, ineluttabilmente definita. Anzi, proprio in quanto ignoranza e fallibilità sono i cardini fondamentali ed ineludibili dell’essere umano, il progresso non può che procedere in modo ondivago, anche casuale, senza che qualcuno possa imporre un piano volto ad imbrigliare la realtà: quest’ultima, sempre, ha dimostrato di essere piuttosto restia, diciamo così, a farsi ingabbiare dalla presunzione fatale di chicchessia.
Risulta impossibile pianificare la propria intera vita, giacché la mutevolezza di quel che poco di libertà che una società aperta consente di esperire, fa a pezzi qualsiasi arroganza individuale. Figuriamoci pretendere di stabilire una meta, un obiettivo, un telos valido per tutti. Scrive Camillo Ruini in un breve ma denso dialogo con Gaetano Quagliariello uscito da pochi mesi – Un’altra libertà. Contro i nuovi profeti del paradiso in terra, Rubbettino, pp. 136 – che «con il Muro di Berlino è caduta l’illusione di poter realizzare, “scientificamente”, una società egualitaria tramite il dominio di un’avanguardia politica, nella sistematica esclusione di Dio e nel disprezzo dei diritti fondamentali dell’uomo». E così seguita: «tutto ciò avrebbe dovuto renderci pienamente edotti dei terribili guasti che può causare la convinzione degli uomini di possedere il segreto di una società perfetta, e dell’importanza del senso del limite, da intendersi non soltanto a livello sociale e politico, secondo la tradizione del pensiero liberale, ma più radicalmente in chiave ontologica e antropologica, come quel limite costitutivo che appartiene alla creatura in quanto tale. E invece, se possibile – nota amaramente il Cardinale Ruini – la presunzione si è trasferita su un terreno ancora più esiziale».
Infatti, tutto l’intenso dialogo si snoda attraverso temi cruciali e delicatissimi che concernono l’uomo e la sua esistenza, dalla nascita alla morte: l’aborto e l’eutanasia, il matrimonio e la famiglia, l’identità e il rapporto con l’altro, la democrazia e la sua relazione con la verità. Il filo che accompagna l’intero volumetto, in definitiva, è il complesso e precario rapporto che l’uomo intrattiene con la libertà e, quindi, con il suo essere responsabile per mantenerla e tutelarla, accettandone i limiti e frenando i propri desideri. Ciò che preoccupa gli Autori, in particolare, è quella tentazione di ingabbiare l’imperfezione – connaturata, come si è detto, nell’uomo: da qui, ad esempio, la preoccupazione dello storico, senatore e presidente della Fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliariello, nei confronti dello sviluppo della tecno-scienza non più al servizio dell’uomo, ma «come frontiera sempre più avanzata nella pretesa di rimuovere l’imperfezione, fino al punto di superare l’umano e giungere al post-umano» – ed eliminare l’imprevisto, l’inaspettato e la “meraviglia”, in nome di una presunta libertà che, in sostanza, sa molto di licenza e di potere. Come disse Hayek, «la libertà è essenziale per far posto all’imprevedibile e all’impredicibile». In campo economico, politico, sociale, se si vuole che la libertà abbia (o torni ad avere) il ruolo preminente che le spetta in una società aperta, essa non può, da un lato, ridursi a capriccio, desiderio illimitato che, magari, deve essere esaurito (e anche allevato) dal potere politico o giudiziario; d’altro canto, allo stesso tempo, non può essere una libertà astratta, disincarnata, incapace di pensarsi anche come frutto di qualcosa che ad essa preesiste (ecco il suo carattere conservatore o, se si preferisce, storicistico).
L’impressione degli Autori è che si siano persi di vista proprio questi due elementi imprescindibili per la salvaguardia della libertà e della stessa civiltà occidentale, che ad essa deve moltissimo: la responsabilità (la quale, come nota Ruini, contraddistingue l’uomo dall’animale) e l’autocontrollo individuale, da un lato; la dimensione relazionale, incarnata e, diciamo pure, sociale, dall’altro. In nome di una libertà assoluta, universale, amorfa, insomma, è in grave pericolo la stessa libertà, con le sue imperfezioni e il suo carattere delicatamente gracile. Ad un certo punto della conversazione, Camillo Ruini riassume assai efficacemente così: «la grande rivendicazione di oggi riguarda la libertà di fare ciò che si vuole, rifiutando qualsiasi vincolo esterno, compresa l’autorità di Dio. Ma, mentre rivendica la libertà da vincoli esterni, la cultura contemporanea nega la libertà interna, cioè la capacità di scegliere in un senso o nell’altro, o anche di non scegliere affatto, quando siano state poste tutte le condizioni richieste per una scelta. È questa – continua il già Presidente della CEI – la libertà che distingue l’uomo dal resto della natura, caratterizzata dal caso e dalla necessità. Il suo fondamento non può dunque essere la natura, ma una libertà creatrice, la libertà di Dio autore dell’uomo e della natura. Se mancasse la libertà interiore, la libertà esteriore sarebbe soltanto un’illusione».
A ben vedere, se l’Occidente e l’Europa sono in crisi, è anche – e forse soprattutto – poiché è in profonda crisi l’idea di libertà e di individualismo “vero”, direbbe Hayek. Infatti, non solo si è promossa un’irresponsabile concezione di libertà, bensì è stata coltivata un’idea ancor più perniciosa: l’identità è nemica della libertà. In realtà, come dimostrano gli Autori, la dimensione relazionale della libertà non può essere dimenticata. In un bel volume di qualche anno fa – L’altro Illuminismo. Politica, religione e funzione pubblica della verità, Rubbettino 2009 – Sergio Belardinelli aveva rimarcato con forza come «la forza di una cultura st[i]a invece nella capacità di relazionarsi continuamente con ciò che è “altro”, senza perdere la consapevolezza della propria identità; nella capacità di tendersi il più possibile verso l’altro, senza spezzare i legami che si hanno con se stessi, con la propria storia e la propria tradizione». È dalla consapevolezza di chi si è e da dove si viene che si può non solo immaginare un futuro – senza per questo spingersi a ingabbiarlo secondo piani aprioristici dal sapore totalitario – ma anche aprirsi all’altro, tentando di comprenderlo e da esso imparare quel che si può, con una buona dose di fiducia in se stessi. In tal modo, si eviterebbe di giunger al dialogo con l’altro da una posizione di inferiorità psicologica, pronti a essere conquistati interiormente, giacché dentro di noi vi sarebbe il vuoto. Tutto ciò è assai bene notato dal Cardinale Ruini quando afferma, discutendo di Europa, che «non è il caso dunque di premere per un forzato livellamento delle culture e delle tradizioni, dei valori morali e dei comportamenti sociali dei diversi popoli, ma piuttosto di rispettarli e accoglierli, favorendo un libero “scambio di doni” nel quale le caratteristiche migliori e più feconde delle singole nazioni possano progressivamente diffondersi». La libertà, possiamo ben dirlo, è una trama fitta, complessa e, perché no?, anche imperscrutabile, che si giova di una pluralità di voci, ivi compresa quella religiosa: per questo, non va dimenticato uno dei tanti ammonimenti di Alexis de Tocqueville, il quale asserì di «dubit[are] che l’uomo possa mai sopportare contemporaneamente una completa indipendenza religiosa e una totale libertà politica; e sono incline a pensare che, se non ha fede, bisogna che serva e, se è libero, che creda». Il messaggio cristiano dell’inviolabile e irriducibile dignità di ogni persona, infatti, sta a dimostrare quanto esso sia un irrinunciabile e strenuo bastione della libertà di tutti, anche di chi non crede.
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