Da Il Foglio del 18 maggio
Come i sacerdoti di religioni concorrenti, che volentieri burlano le altrui credenze e divinità, gli economisti sono sempre pronti a ridere delle teorie economiche degli altri, invariabilmente «romantiche», «errate», «mistiche». Sono invece eminentemente «scientifiche», perciò incontestabili, le dottrine economiche proclamate da loro. Come c’è una Vera Religione, c’è anche una Vera Economia? A Sergio Ricossa, economista di mestiere e spirito volterriano, principe dei polemisti, non tornano i conti. Come per Vilfredo Pareto, anche per Ricossa, autore di Maledetti economisti, un titolo Rizzoli del 1996 ristampato da Rubbettino e sempre attualissimo, tutta quanta l’economia, anzi l’«economics»,è nudo e crudo «vaniloquio», una «scienza inesistente».
Ricossa immagina che nel 2440, dopo un olocausto planetario provocato dai terroristi del Joint Masters of Kains (J.M.K., le iniziali di John Maynard Keynes), un comitato di superstiti si riunisca per ricostruire, dai pochi frammenti rimasti, la storia dell’economia. Un quadro dopo l’altro, segue l’intera commedia degli economisti dalle origini a oggi, dall’economia come branca della morale, all’economia come nuova trincea della matematica e braccio armato dei politici, anch’essi di professione narcisi e cacciaballe.
Gli economisti, sia i sostenitori del Mercato e della Mano Invisibile che i loro avversari, i fan della Mano Pubblica e degl’Interventi dall’Alto, non si distinguono tra loro perché gli uni hanno ragione e gli altri torto, come sarebbe bello. Si distinguono perché gli uni si fidano poco degli uomini e gli altri sembrano fidarsene troppo. Questa è una distinzione che non vale solo per gli economisti, naturalmente. Vale anche per i barbieri e per gli idraulici, tra i quali allignano ottimisti e pessimisti come in ogni altra professione, però senza che da ciò discendano scuole concorrenti e antagoniste di tubistica o d’insaponatura. Ottimista o pessimista, il barbiere taglia i capelli, così come l’idraulico, parteggi per il bicchiere mezzo vuoto o per quello mezzo pieno, ripara il rubinetto oppure lo sciacquone. Ottimista o pessimista, l’economista produce invece interpretazioni del mondo insensate, talvolta pericolose, e previsioni che non si realizzano ma neppure per sbaglio.
«E una tragicommedia. A dispetto della determinazione di essere eroi», scrive nell’introduzione Lorenzo Infantino, «gli economisti cadono nel ridicolo. Avrebbero voluto indagare la dimensione economica della vita, spiegarci il perché della prosperità e della depressione, farci capire qualcosa dei fenomeni in cui c’imbattiamo ogni giorno. Ma le loro teorie, contradditorie, divergenti, rendono complicato ciò che è semplice e indecifrabile quel che è complesso». Morale: l’economia non è una scienza, non più della religione o della politica, ma, nel migliore dei casi, è mito o letteratura, per esempio con Adam Smith e Karl Marx, mentre nel peggiore dei casi è un oscuro abracadabra, per esempio con Piero Sraffa.
«Non hai mai pensato, Ken» – disse una volta Lyndon B. Johnson a John Kenneth Galbraith, suo economista di fiducia – «che fare un discorso d’economia è un po’ come pisciarsi giù per le gambe? Chi lo fa si sente caldo, tutti gli altri no». È l’umido privilegio di chi si fa paladino di questa o quella pseudoscienza. Sostituite la parola «economia» con parole come «psicologia» oppure «sociologia», ma anche «teologia», insomma con una qualsiasi delle innumerevoli scienze inesatte e religioni bigotte che c’infettano l’anima, e poi decidete se sentite caldo oppure no: a sentir caldo si fa parte della banda, altrimenti si è liberi d’essere liberi.
di Diego Gabutti
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Fare un discorso di economia è come pisciarsi lungo le gambe. Chi lo fa, sente caldo. Gli altri no. Parola di Lyndon B. Johnson
di Diego Gabutti