A trent’anni da Mani pulite, c’è chi non si rassegna all’evidenza, cioè che la corruzione è continuata, la politica è finita. Una politica che prima si è frantumata, vittima dello strapotere della magistratura, per poi dissolversi nell’illusorio scontro tra coalizioni. Questa degenerazione del sistema democratico è il tema principale dell’ultimo libro del presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto: L’eutanasia della democrazia, Rubbettino editore. Un testo che analizza i peccati originari della seconda Repubblica e delle derive dello strapotere giudiziario, capaci di inquinare il quadro politico nazionale. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Dopo l’approvazione della riforma Cartabia è possibile una ricostruzione del sistema giudiziario italiano in termini garantisti per i cittadini? E se si in che modo?
«Sarebbe possibile solo con una riforma costituzionale. Il limite della cosiddetta riforma Cartabia, che ha degli aspetti positivi, uno su tutti il fascicolo sulle performance dei magistrati, è che si applichi a costituzione invariata, non potendo inserire la separazione tra le carriere tra funzione requirente e giudicante. Per questo motivo la Fondazione Einaudi ha presentato un disegno di legge costituzionale al fine di trovare un accordo con tutte le forze politiche, non sul contenuto, ma sulle regole del gioco, attraverso una costituente capace di compiere una riforma organica a partire dalla giustizia, un cambiamento che a costituzione invariata non sarebbe possibile».
Secondo lei il paese è pronto per un dialogo serio sui temi della giustizia?
«Bisogna riflettere su alcuni dati. Prima di tutto i quesiti referendari sono stati tutti vinti dal si ed è troppo facile appellarsi al quorum, che purtroppo è un dato patologico della politica italiana recente, ma soprattutto ancora una volta il 75% degli italiani hanno confermato la volontà di riformare il csm, per porre fine a quella vergogna della spartizione correntizia delle cariche, e della separazione delle carriere. Ora tocca alle forze politiche organizzare la volontà popolare per fare entrare questi temi nei loro programmi».
Nel suo ultimo libro L’eutanasia della democrazia, ha mostrato come le conseguenze di Tangentopoli hanno cambiato il volto del nostro paese. Quali anomalie ha portato Mani pulite e che effetti collaterali ha subito il sistema democratico dopo esso?
«Le anomalie che richiamo riguardano la fuoriuscita dell’Italia dal sistema europeo sia dal punto di vista della giustizia, in senso stretto, sia dal punto di vista della politica nazionale, in senso più ampio. Un sistema giudiziario che, prevedendo la carriera unica del magistrato giudicante e quello requirente, da una parte, e l’obbligatorietà dell’azione penale e una serie di altri fattori, dall’altra, diviene un unicum sia a livello europeo sia rispetto ai paesi anglosassoni. Una irregolarità che è stato dovuta a quanto è successo negli anni 92-94 del secolo scorso, dove l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e il rito accusatorio sono stati frenati dai fatti di quegli anni e che hanno portato ad una ulteriore conseguenza a livello politico che consiste nel bipolarismo tra coalizioni di centro destra e centro sinistra».
Una divisione utile alla vita del paese?
«Una divisione che ha fossilizzato il sistema politico nello scontro tra queste due coalizioni che tra l’altro per la loro instabilità e litigiosità non possono dirsi tali e capace di impedire la nascita di un terzo polo. Cioè una ulteriore anomalia a livello europeo, dove invece esiste a fianco di una destra, o di una sinistra una forza liberale che partecipa alla vita politica del paese».
Di fronte al fallimento delle grandi coalizioni e dei partiti di protesta, crede che oggi sia possibile la nascita di una opzione alternativa a destra e sinistra?
«Non solo è possibile, ma è auspicabile poiché necessario al nostro paese. Però occorre essere chiari, un eventuale terzo polo non deve essere sbilanciato e si deve porre in una posizione equidistante e centrale tra gli altri due. Esso non deve orientarsi da una parte o dall’altra prima delle elezioni, ma deve valutare le proprie alleanze dopo esse. Un esempio di cosa dovrebbe essere è l’FDP tedesco, un partito squisitamente liberale che ha cercato prima di portare avanti il suo programma col CDU e che poi ha invece deciso di realizzarlo con i socialisti del SPD. Poiché un polo liberaldemocratico deve vivere di vita autonoma. Qualsiasi opzione sbilanciata mi vedrà sempre contrario».
Come valuta, quindi, la proposta del segretario del pri Corrado De Rinaldis Saponaro di una costituente liberaldemocratica e repubblicana?
«La valuto in maniera assolutamente positiva, con le caratteristiche espresse prima».
Nella formazione di nuove forze e idee alternative per ricostruire il paese quanto possono essere utili gli insegnamenti di Luigi Einaudi?
«Luigi Einaudi ha una caratteristica impressionante, sia dagli articoli che nei testi, ovvero la sua perenne attualità, che deve essere non solo un esempio, ma il fondamento di questa esperienza liberaldemocratica».