Da Il Sole 24 ore del 9 novembre
È un lavoro davvero originale per la nostra cultura quello scritto da Dario Antiseri, notissimo filosofo italiano, e da Adriano Soi, già responsabile della comunicazione istituzionale del «Dipartimento informazioni per la sicurezza».
L’argomento del libro è l’analisi dell’intelligence dal punto di vista del metodo scientifico e delle forme di ragionamento. Potrebbe sembrare un esercizio di elegante retorica, se non fosse che in realtà la tematica è già stata oggetto di diversi lavori, soprattutto negli Stati Uniti.
Il volume si apre con l’esposizione dei principi fondamentali del metodo scientifico secondo l’ottica soprattutto (ma non esclusivamente) popperiana. È una logica riassumibile nella sequenza problemi-teorie-critiche, ovvero del trial-and-error. Gli autori, ribadendo la tesi esposta da Antiseri in suoi lavori tradotti in tutto il mondo, sottolineano come il metodo scientifico sia unico, e si applichi tanto alla ricerca nel mondo della natura quanto all’interpretazione del mondo umano (ermeneutica). La loro conclusione è che «quale è mai il compito dell’operatore dell’Intelligence se non quello di offrire conoscenze al decisore politico? E per quale altra via, se non attraverso il metodo scientifico, tale operatore potrà produrre conoscenze da offrire al decisore politico? L’attendibilità di un informatore; la verità o meno di una informazione, cioè la realtà di un “fatto”; o anche la più o meno elevata probabilità di una informazione; l’esattezza di una traduzione; la decifrazione di un messaggio; la scoperta degli esecutori di un attentato; l’acquisizione e la valutazione di notizie rilevanti per la prevenzione di azioni sovversive e, comunque, liberticide; come anche l’acquisizione e il controllo delle informazioni a tutela degli interessi economici nazionali, del patrimonio tecnologico e di quelle innovazioni in grado di garantire la competitività del sistema industriale nazionale – queste, dunque, sono tipiche e caratterizzanti attività di Intelligence, forme di analisi la cui realizzazione presuppone ed esige, in ogni fase del processo, una rigorosa applicazione del metodo scientifico».
La detection è insomma una scienza applicata, una tecnologia e – come scrisse molti anni fa il logico Irving Copi – vi è una profonda analogia tra il modo di ragionare di uno scienziato e quello di Sherlock Holmes.
L’intelligence è una forma particolare di detection. Gli autori illustrano in modo molto chiaro i modi in cui il termine oggi si declina: «il vocabolo Intelligence è usato con diverse accezioni: la prima è quella cui si è appena fatto riferimento, vale a dire l’attività di raccolta ed elaborazione delle notizie (e lo “spionaggio”, espressione ormai datata ma ancora ricca di fascino, è evidentemente solo una delle forme possibili di questa attività); la seconda è quella che fa riferimento al prodotto finale di questa attività, dunque Intelligence come informazione, come notizia elaborata e fornita al “decisore”; la terza è quella “soggettiva”, conia quale si intendono le strutture e le persone che compiono le attività di ricerca ed elaborazione delle notizie: in questo caso Intelligence sta per “servizi di informazione” o “servizi di informazione perla sicurezza”, per usare il linguaggio del Legislatore della riforma del 2007, oppure ancora “servizi segreti”, espressione molto usata nel Diciannovesimo e nel Ventesimo secolo ma oggi sempre meno attuale. E non per un fatto di moda. Il diffondersi dei regimi democratici, da una parte, e la straordinaria quantità di informazioni ottenibili da quelle che dal linguaggio Intelligence vengono definite “fonti aperte” (media, web, comunicazione istituzionale eccetera) dall’altra, hanno spostato l’accento dell’espressione, rendendo i “Servizi” un po’ meno segreti – ma naturalmente solo un poco – ed enfatizzando la loro vocazione alla produzione di informazione-conoscenza finalizzata alla decisione politica».
L’operatore di intelligence è soprattutto un ermeneuta perché «quando entra in contatto con la notizia scritta, prima ancora di essere un analista, è un interprete e, in quanto
tale, entra in rapporto con un testo che parla di cose, al quale si avvicina non come una tabula rasa, bensì con la sua pre-comprensione (Vorverstàndnis), cioè con i suoi pregiudizi (Vorurteile), le sue pre-supposizioni e le sue attese, come ci ha insegnato Gadamer. Il testo, da parte sua, non farà altro che mettere alla prova la legittimità, cioè l’origine e la validità, delle presupposizioni presenti nell’interprete».
Uno dei meriti del libro è quello di favorire un dibattito pubblico su di un ambito della vita istituzionale che da sempre è relegato nel dominio dell’oscuro e del non dicibile. Qui si apre un capitolo diverso, che non è più epistemologico ma morale e politico. Emmanuel Kant si interessò già della questione dei servizi segreti. Li chiamava «macchine infernali». C’erano infatti sistemi di informazione paralleli rispetto a quelli dichiarabili anche negli Stati assolutisti. Kant in base alla sua morale aveva grande difficoltà a giustificare l’esistenza di queste «macchine infernali», che lui vedeva come qualcosa sottratto all’imperio delle leggi. Oggi ovviamente la sfida dell’intelligence è stare dentro l’imperio delle leggi, non fuori. Questo è il grande cambiamento culturale che è avvenuto anche nel nostro Paese e che libri come quello di Antiseri e Soi contribuiscono molto a favorire.
di Angelo Maria Petroni
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