Entro la fine del secolo, circa il 7% della popolazione mondiale, compresi gli abitanti di molte città costiere italiane, compresi quelli di Venezia – duramente colpita nei giorni scorsi e ancora oggi da tempeste e inondazioni – rischia di finire sott’acqua.
Lo dice una recente ricerca dell’Università di Princeton che va a mettere in evidenza che tutta questa rapida crescita dei livelli dei mari potrebbe aggravare l’esposizione ai rischi d’inondazione per milioni di persone, a cominciare proprio dagli Stati Uniti. Città come Boston, New York, New Orleans e Miami sono a rischio e le prime avvisaglie ci sono già state con l’erosione di diverse isole. Anche altri Stati possono soffrire le conseguenze dell’innalzamento dei mari, ad esempio i Paesi Bassi o Singapore.
“Gli esempi potrebbero continuare all’infinito fino a quando non si troverà una soluzione”, spiega all’HuffPost Francesca Santolini, giornalista esperta di temi ambientali e autrice di “Profughi del clima”, un libro appena uscito per Rubbettino Editore che affronta questi argomenti attuali e scottanti con un linguaggio adatto a tutti, perché simili problematiche devono essere conosciute e percepite da quante più persone possibili. Il titolo si riferisce a un esercito di esseri umani in fuga da catastrofi naturali, dalla perdita di territorio dovuto all’innalzamento del livello del mare, da siccità e desertificazione e a conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche o energetiche.
La categoria del “migrante ambientale” o, più opportunamente, di “rifugiato ambientale”, ancora non esiste nel diritto internazionale e questo, precisa l’autrice, “è anche un alibi a non occuparsene”. Ciò significa che le persone che migrano per ragioni ambientali o fuggono da eventi climatici, oggi sono fantasmi e non sono tutelate dal diritto internazionale oltre a non poter beneficiare dello status di rifugiato che la Convenzione di Ginevra del 1951 concede solo a chi è perseguitato per razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche.
Dell’ambiente e delle conseguenze del clima, e del diritto alla loro protezione, dunque, incredibilmente, non vi è ancora traccia. Al momento il dibattito sembra arenato sulle emergenze del Mediterraneo che alimentano i dibattiti politici interni ai paesi europei. L’Alto commissariato della Nazioni unite e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni hanno dichiarato che entro il 2050 si raggiungeranno tra i 200 e i 250 milioni di rifugiati ambientali, con una media di 6 milioni di persone costrette ogni anno a lasciare il proprio Paese. Partono perché non riescono a sopravvivere nel loro luogo d’origine, non hanno più accesso a terra, acqua, mezzi di sussistenza.
Ci sono tanti cambiamenti connessi al riscaldamento globale, come ad esempio, quello che riguarda il ciclo dell’acqua, si legge nel libro. “Bisognerebbe chiedersi, aggiunge Santolini, se alla luce delle evidenze scientifiche – che ci sono da anni sulle conseguenze del livello del mare, anche a Venezia – se il Mose (il sistema di barriere mobili che dovrebbe salvare la città quando l’acqua si alza troppo, ndr) sia stato pensato integrando gli scenari definiti dagli scienziati e dai climatologi. Sono loro che devono essere ascoltati dalle istituzioni”. Negli ultimi 25 anni il livello degli oceani è cresciuto di 7 centimetri e i mari avanzano di quasi un millimetro extra ogni 10 anni, stando ad un recente studio dell’Università del Colorado Boulder.
“Sono preoccupanti, ma è un dato di fatto che non si può continuare a ignorare. Quello che è successo a Venezia, può succedere in tanti altri posti. Difficile dire se la tragedia di Venezia si poteva evitare. Sicuramente si tratta di una tragedia annunciata. Rispetto al 1966 è un fenomeno inedito che ha a che fare con le conseguenze del cambiamento climatico e che dovrebbe farci riflettere. Anche perché i costi economici per riparare i danni saranno altissimi, come sempre avviene quando si ha a che fare con tragedie climatiche”.
Ad influire nel cambiamento climatico, ci sono stati e ci sono diversi fattori. Da una parte l’innalzamento del livello del mare, dovuto allo scioglimento dei ghiacci, che è un effetto diretto del cambiamento climatico stesso, anche se stavolta a fare la differenza sono stati gli effetti di flussi di venti di Scirocco che provengono dal Sud, che sono sempre più frequenti nella nostra penisola e che anche in questo caso possiamo attribuire al cambiamento climatico. “Il vero problema – aggiunge – è che questo è solo l’inizio, un anticipo di quello che succederà nei prossimi anni.
Ci sono scenari apocalittici preconizzati da molti rapporti italiani e internazionali, in particolare, per Venezia si prevede un picco di marea di 2,5 metri”. Non si tratta di catastrofismo ma di realismo ed è lei stessa a precisarlo. “Negare oggi il cambiamento climatico è criminale, precisa l’autrice, mettere competenza e incompetenza sullo stesso piano non è mettere i cittadini in grado di decidere: è rendersi conto della dilagante disinformazione scientifica. Il cambiamento climatico esiste.
E’ la scienza che lo dice, da anni. Bisognerebbe ascoltarla e integrare le evidenze scientifiche nelle decisioni politiche di lungo termine. Gli anglosassoni usano un’espressione per definire questo rapporto stretto tra scienza e istituzioni politiche: sound of science, giocando con le parole del titolo di una bellissima canzone di Simon and Garfunkel. C’è da augurarsi che il “sound of science” risuoni anche nelle orecchie dei governi di tutto il pianeta. Compreso il nostro”.
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