Prof. Nicola Antonetti, Lei ha curato l’edizione del libro Emilio Colombo. Protagonista della storia italiana ed europea del Novecento edito da Rubbettino: quale importanza riveste, nella storia repubblicana, la figura di Emilio Colombo?
Quest’anno si sono celebrati i cento anni dalla nascita di Emilio Colombo e l’Istituto Luigi Sturzo di Roma, dove è conservato il suo importante Archivio, ha voluto contribuire a sviluppare la necessaria riflessione sull’opera di una personalità che è stata presente, sempre a livelli apicali, sulla scena pubblica italiana ed europea per circa 50 anni. Entrò giovanissimo, con oltre 26000 voti di preferenza, in Assemblea Costituente, rimase nella Camera dei Deputati dalla I alla XI legislatura; oltre vari incarichi, è stato ministro di Agricoltura e foreste, Commercio con l’estero, Industria e commercio, Tesoro, Bilancio e programmazione economica, Grazia e giustizia, senza portafoglio “con delega per i compiti politici particolari e di coordinamento, con speciale riguardo alla presidenza della Delegazione italiana all’Onu”, Affari esteri, Finanze. Oltre che presidente del Consiglio, dal 6 agosto 1970 al 17 febbraio 1972. Nel marzo 1977, fu eletto Presidente del Parlamento Europeo e guidò l’Assemblea verso la prima elezione a suffragio universale, a seguito della quale egli stesso venne chiamato di nuovo a farne parte nel 1979, con un suffragio plebiscitario (oltre 850 mila preferenze) nella Circoscrizione dell’Italia Meridionale. Dal 1993 al 1995 è stato Presidente della Internazionale Democristiana e nel 2003 fu nominato senatore a vita da Carlo Azeglio Ciampi
Insomma, anche di fronte a una rapida ricapitolazione degli incarichi ricoperti, comprendiamo che l’opera di Colombo è stata quella di un uomo di Stato che ha attraversato da protagonista sia la storia della prima Repubblica, con i suoi chiaroscuri, sia una fase cruciale del processo di integrazione europeo. Nella stesura del nostro libro abbiamo verificato che, purtroppo, di Colombo si è studiato e scritto ancora poco o, almeno, non quanto la sua figura meriterebbe: speriamo che si dia a breve seguito anche al bel volume curato da D. Verrastro ed E. Vigilante su Emilio Colombo. L’ultimo dei costituenti (Laterza, 2016) con studi che muovano dall’attenta compulsazione del suo archivio.
Quale fu la formazione che ispirò l’attività politica di Emilio Colombo?
Colombo è stato un giovane della ‘seconda generazione’ dei cattolici: a 26 anni entrava in politica probabilmente (come si diceva allora) per ‘chiamata del Vescovo’, che a Potenza era Mons. Augusto Bertazzoni. Oltre la formazione religiosa acquisita nell’AC, possedeva una visione immediata delle condizioni sociali del Mezzogiorno nel passaggio epocale (in campo politico e istituzionale) verso la democrazia. Come gli altri giovani del Sud non aveva esperienza, se non indiretta, della Resistenza, ma era consapevole partecipe di quello che divenne immediatamente – come ebbe a definirlo Aldo Moro nel 1945 in polemica con Pietro Nenni – il “vento democratico del Sud”, con la sua storia particolare e con il suo destino nello Stato democratico. Era quello di Moro e di Colombo il vento di un Sud che nasceva da una sua storia particolare di arretratezza e doveva suscitare, con i suoi uomini, nuove energie per la costruzione dello Stato democratico in Italia. In effetti, la divisa del ‘ricostruttore’ o del ‘costruttore di democrazia’ non fu mai dismessa da Colombo. Nella sua formazione gli fu molto vicino il suo parroco, don Vincenzo d’Elia, il quale certamente ebbe modo di illustrargli anche la triste parabola politica del Ppi, di cui era stato egli stesso esponente a Potenza, e di spiegargli l’indirizzo antistatalista e antifascista difeso fino in fondo da Luigi Sturzo. In altre parole, Colombo – in realtà come pochi altri giovani della ‘seconda generazione’ democristiana – ebbe modo di apprezzare il modo nel quale l’ispirazione cristiana era stata coniugata con la cultura liberal-democratica dal primo partito dei cattolici italiani. Tale consapevolezza si arricchì presto quando lo stesso D’Elia lo avvicinò a suo zio, l’altro lucano don Giuseppe De Luca (uno dei maggiori intellettuali del Novecento italiano!), che fu tra le persone più vicine a Sturzo, quando questi tornò nel 1946 dal suo esilio negli Stati Uniti. Attraverso De Luca, il giovane Colombo ebbe anche modo di avvicinare, a metà degli anni ’40 dello scorso secolo, importanti ecclesiastici, come il card. Roncalli e Mons. Montini, e alcuni dei maggiori attori politici dell’epoca: da De Gasperi a Sturzo e Dossetti, da Togliatti a Franco Rodano e a vari altri.
La memoria di tali esperienze non lo abbandonò mai. Colombo fece sue le aspettative di giustizia sociale avanzate dai ‘professorini’ dossettiani, ma non condivise la loro idea che la politica bastasse per una palingenesi globale della società. Piuttosto, fu erede di quella consapevolezza dei limiti sempre presenti nell’azione riformatrice della politica, così come li aveva teorizzati lo stesso De Gasperi. Il politico lucano operò perché la DC adeguasse i suoi comportamenti alle rapide trasformazioni della società e alle rinnovate esigenze di giustizia sociale. Non volle neanche che un partito laico come il suo fosse attratto da forme ideologizzate (pur di tipo religioso) di lotta politica: per lui la DC era quel «partito di centro che guarda a sinistra», secondo la formula degasperiana, e non era consentito alla classe dirigente democristiana sottrarsi al complessivo mandato politico affidato ad essa da una pluralità di forze e di interessi. Qualificò in questo modo il suo impegno nella lunga azione di governo esprimendo la sua coerenza nell’attitudine verso soluzioni meditate e consapevoli delle questioni interne e esterne al partito, specie in campo sociale ed economico. Quindi, fece suo, prima e diversamente da altri della sua generazione, l’indirizzo filo-atlantico impresso da De Gasperi alla politica italiana e colse subito i livelli sui quali si sarebbero dispiegati gli impegni transatlantici sul piano internazionale e su quello interno. Sul primo, si profilava, con la Guerra Fredda, un’alleanza militare (con la difficile adesione – anche per una quota della Dc – al Patto Atlantico e in seguito alla NATO), non disgiunta però dalla attivazione nel 1947 di quell’European Recovery Program (il Piano Marshall) che, necessario per la ricostruzione, di fatto dava un consistente impulso al primo processo di integrazione della Piccola Europa. Sul piano interno, l’atlantismo implicava l’adesione al modello delle democrazie occidentali, cioè alla esclusione o marginalizzazione del comunismo: in Italia, dove agiva il maggiore partito comunista europeo, significava per i democristiani offrire un’alternativa non ideologica alla lotta di classe. Un’alternativa pacifica che veniva dalla tradizione cattolica ma che una volta rinnovata, dopo l’esperienza del fascismo, si esprimeva nel programma degasperiano dell’interclassismo, nel quale la difesa delle libertà civili e personali si saldava alla prospettiva di soluzione delle tante e urgenti questioni sociali del paese: fu il programma che fece prese nei ceti popolari come nei ceti medi e in vari ambienti intellettuali, non solo cattolici.
Come si espresse la vocazione europeista dell’onorevole Colombo?
Colombo avvertì precocemente (verso la fine degli anni 50) che declinava il «centro statale» della politica italiana rispetto ai poteri che assumeva la Comunità europea specie nella determinazione degli indirizzi economici. Di particolare interesse rimane quanto disse in sede di insediamento del suo governo, nella seduta della Camera del 10 agosto 1970:
«Una delle caratteristiche del nostro tempo è rappresentata dal fatto che i problemi di politica estera che interessano singole nazioni finiscono con l’essere problemi di tutte le nazioni. Il nostro avvenire sarà sempre più comune. Il nostro destino è già indivisibile. […] Il progresso verso l’unione economica e monetaria presuppone il supporto di una organizzazione politica ed una progressiva convergenza degli obiettivi economici a medio termine e delle loro priorità, nonché delle politiche economiche messe in atto per raggiungere gli obiettivi stessi».
Aveva presente che la prima fondamentale traccia unitaria del vecchio continente era stata incisa con il sudore e (talora) con il sangue di migliaia di emigranti del Mezzogiorno: operò quindi in ogni occasione e in modo concreto per il coinvolgimento pieno nelle responsabilità sociali e politiche di ognuno dei paesi membri dell’Unione. Rimane esemplare, il fatto che a seguito della crisi apertasi nel giugno del 1979, dopo che fu annullato il voto negativo del Parlamento europeo al bilancio presentato dal Consiglio, Colombo assieme al Ministro degli Esteri della Germania federale H. Dietrich Genscher chiese una revisione dei Trattati al fine di armonizzare le funzioni svolte dalle varie istituzioni europee. Da quella intesa nacque il Piano Colombo-Gensher che impegnava i governi dei paesi membri a produrre un «atto europeo» sulla integrazione comunitaria. Il Piano divenne il documento base del processo di cooperazione europea fissato dalla Dichiarazione di Stoccarda del 1983. Con il prestigio derivato da questa essenziale iniziativa e con la sua riconosciuta competenza assunse la Presidenza del Parlamento europeo che diveniva elettivo e, quindi, rappresentativo di tutti i Paesi membri. Nel maggio 1979 ricevette ad Aquisgrana, terzo statista italiano dopo De Gasperi e Antonio Segni, il Premio Carlo Magno, che viene assegnato ogni anno all’uomo politico europeo che, con la sua opera, ha maggiormente contribuito al processo di integrazione comunitaria.
L’Istituto Sturzo ha recentemente acquisito l’archivio personale di Emilio Colombo: quale straordinario valore documentale possiede il fondo?
L’importante Archivio di Colombo è stato donato all’Istituto Luigi Sturzo di Roma che lo ha affidato all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole per la inventariazione e la digitalizzazione. In pratica, a breve sarà disponibile una grande massa di documenti, pubblici e privati, dalla quale, l’opinione pubblica e non solo gli studiosi, dovranno tenere conto, avendo peraltro l’opportunità di accedere ormai anche alle carte, depositate nell’Archivio dello Sturzo, di molti dei politici che, come Colombo, sono stati protagonisti della storia della Dc: dallo stesso Sturzo ad Andreotti a Scelba a Piccioni, da Gronchi a Malvestiti e a tanti altri. Questo patrimonio documentario, dunque, permetterà non solo doverose integrazioni (cioè, conferme e smentite) su quello che si è scritto finora su Colombo, ma, e soprattutto, consentirà qualche opportuno approfondimento dell’intera storia della Democrazia Cristiana, dall’inizio fino al suo scioglimento nel 1994 (50 anni!). Certamente una importante storiografia ha già cancellato, in buona parte, gli stereotipi interpretativi, fissati già negli anni 50 da Togliatti e replicati nei decenni successivi, che etichettavano la Dc e i suoi maggiori esponenti, tra i quali Colombo, come «il partito o gli uomini della Chiesa» e come «il partito o gli uomini degli americani». La suddetta storiografia (e penso a De Rosa, a Malgeri, a Scoppola e a vari altri) è riuscita a spiegare, su base documentaria, che l’avvento e la storia della Dc, con la Costituzione repubblicana, con la vittoria elettorale del 18 aprile 1948 e con le successive affermazioni, non ha rappresentato una sorta di calata sulla scena politica del dopoguerra di una generazione di barbari (gli Hiksos di crociana memoria), bensì dell’ingresso nella storia italiana di una classe politica formata principalmente nell’associazionismo cattolico e, in buona parte, specie nei suoi leaders, forgiata dall’opposizione al fascismo. Una storia della quale Colombo fu interprete: è ovvio assieme a tanti altri, ma dando un contributo per molti versi del tutto particolare.