Da Minima&Moralia del 26 marzo
Giulio Questi, tra le altre cose regista, scrittore e partigiano, è morto nel 2014 all’età di 90 anni e forse appartiene a quel gruppo di persone che un po’ di notorietà in più l’avrebbero meritata; ma d’altronde non è dato sapere quali siano i meccanismi che portano a far raggiungere il traguardo della notorietà, né qui è interessante indagarli. No che non abbia mai ricevuto lodi, basti pensare alla citazione che Tarantino fa in Kill Bill Vol. 2 di un suo film, ma, in maniera assai brutale, poteva averne molte di più, sempre che a lui potesse interessare.
Regista, scrittore e partigiano si diceva, tutte e tre esperienze che segnano la sua produzione e che si intersecano tra loro: in ognuna delle sue opere, sia esso un film o un libro, si può essere certi che quel carattere di avvedutezza e correttezza verso la materia narrata sia al massimo livello, di modo che ci sia sempre una scrittura quasi letteraria nei suoi film e un movimento cinematografico nei suoi libri.
In realtà è necessario sottolineare come la produzione di Questi, sia essa cinematografica o letteraria, sia assai ridotta: di film accreditati solo a suo nome, ce ne sono tre, e sono usciti in 5 anni tra il 1967 e il 1972: si tratta di Se sei vivo spara, un western di una violenza inusitata in cui ritorna anche la sua esperienza della Resistenza, La morte ha fatto l’uovo, vero e proprio cult, un giallo costruito in maniera non convenzionale dove ancora la violenza delle immagini regna sovrana (celebre la scena del pollo senza gambe e una Gina Lollobrigida estraniata) e infine Arcana una sorta di viaggio surreale metafisico che ha per soggetto una storia di meridionali a Milano. Tre soli film dalla caratura però impressionante, prodotti da uno degli intellettuali italiani più trasgressivi e anticonformisti.
Oltre che regista Questi è stato anche scrittore, pur se il suo esordio, la raccolta di racconti Uomini e comandanti (composta da splendidi racconti che narrano con lucidità e precisione la sua esperienza partigiana), è uscito quando Questi aveva quasi 90 anni, nel 2014, lo stesso anno della sua autobiografia Se non ricordo male; è di qualche mese fa invece l’uscita per Rubbettino di Effetti e scadenze, un anno dopo la morte dello scrittore.
L’esordio letterario in tarda età di Giulio Questi fu sorprendente per almeno due aspetti: innanzitutto perché si trattò di una novità che non molti si aspettavano, l’opera letteraria di una persona che per tutta la vita aveva lavorato con il cinema. Il secondo aspetto, ancor più importante se si vuole, è quello che caratterizza il valore estetico della raccolta: Sergio Luzzatto disse che Questi rispose all’assenza contemporanea di storie partigiane autentiche, creando un mondo che riuscisse ad unire nei suoi piccoli e semplici personaggi i caratteri delle novelle di Gogol e la dubbia grandezza degli eroi di Tarantino.
Ed è allo stesso livello il romanzo che Rubbettino manda in stampa un anno dopo la morte dell’autore, un libro di cui Questi già parla nella sua autobiografia, Se non ricordo male, quando ricorda di una proposta del produttore cinematografico Leo Pescarolo. Il produttore disse a Questi di voler fare un film con lui e gli propose di scrivere una storia che girasse intorno al terribile mondo dell’usura. Questi si mise al lavoro e scrisse, parole sue, “una sceneggiatura molto forte, pulp” dal titolo All’inferno coi soldi!, un titolo in cui non è difficile ritrovare quello spirito del cinema di cinquanta-quaranta anni fa. Il film non si è mai fatto ma Questi, per non gettare un anno di lavoro, decise di rimettere mano alla sceneggiatura e di sfruttare il carattere pulp della sua storia per tirarne fuori un romanzo.
Questa è la genesi dell’ultima opera di Questi e leggendo il libro non sarà difficile avvertire la provenienza di questa scrittura da una di tipo cinematografico: si avverte per esempio che a dettare i tempi della scrittura c’è il montaggio di una sceneggiatura, fatto questo che dà al romanzo un movimento che ruota tutto intorno ad improvvisi cambi di scena e movimenti spaziali che accadono tra una riga e l’altra.
Prima di addentrarsi nel romanzo però, credo sia interessante soffermarsi per un momento sull’ambientazione. Si tratta, come detto, di un romanzo che ruota attorno al denaro, che coinvolge ricchi e poveri, avvocati e borgatari, tutti più o meno mossi da intenti criminali. L’azione si concentra tutta a Roma, ed anche questo non è un dato secondario, soprattutto se lo si mette in relazione con il fiorire recente di film o romanzi che hanno per ambientazione la capitale e che ne indagano i luoghi più oscuri e cruenti, lontani anni luce da quella mitizzazione irreale che spesso capita di vedere.
Non siamo nei vicoli di To Rome with love o nelle terrazze di La grande bellezza, ma siamo dentro un mondo grigio e malavitoso che ricorda piuttosto i due recenti film “romani” Suburra e Non essere cattivo. Ma se Suburra è una costruzione artificiale e patinata che cede all’estetica dell’immagine, Effetti e scadenze è certamente più vicino al realismo di Caligari perché, pur coinvolgendo nella sua storia liberi professionisti come avvocati e commercialisti, trae il suo motore dalle azioni di Rino, un paracadutista dell’esercito cacciato dall’arma, un uomo violento e testardo, che attraverso un tradimento proprio nei confronti di quei professionisti che gli danno lavoro, crea un cortocircuito nel losco mondo del malaffare in cui si muove l’avvocato Pintus, lo sconfitto del romanzo.
Siamo nel 1994, all’indomani delle elezioni politiche che videro trionfare Silvio Berlusconi, in una Roma di mezzo, tra centro e periferia, che sin dalla prima pagina, dove viene descritta oscurata da “una nuvolaglia scura che minacciava un altro temporale”, viene caratterizzata dai personaggi che si muovono dentro di lei, tra racket, minacce e speculazioni. Il libro di Questi tenta un difficile quanto necessario aggiornamento del romanzo noir-poliziesco al tempo della cronaca politica, mimetizzandosi però, descrivendo cioè non a partire da quella cronaca, quanto mostrando invece gli effetti di essa in un mondo immorale dedito al culto del denaro e della bella vita, in un quadro che dipinge attraverso uno sguardo cinematografico, che però non inficia la capacità di narrare letterariamente, un mondo che non ha eroi né morale.
L’avvocato Pintus, che gestisce una finanziaria che guadagna intorno all’usura, ha la possibilità di entrare nel grande giro dei supermercati attraverso un affare da quindici miliardi di lire. Ma proprio quando riesce a trovare i soldi – bellissima la scena che si svolge in un ippodromo deserto in cui una figura quasi invisibile, Masullo, porta valigie piene di soldi – l’ex parà Rino, attraverso un blitz che non manca di mostrare il suo fanatismo da esercito, ruba i soldi e parte con Milena, sua compagna instabile che è anche l’amante di Pintus. Questa rapina fa crollare tutto il castello oscuro meticolosamente progettato da Pintus e fa entrare la violenza nei ricchi appartamenti di avvocati e commercialisti, mostrando la mancanza di pietà e di clemenza, le amicizie dimenticate e la codardia di quelli che prima erano leoni.
I personaggi di Questi incarnano un edonismo senza limiti che ammorba tutti, da avvocati a esagitati scagnozzi fino alle mogli annoiate o alle amanti dimenticate, tutti alla ricerca di un successo folle che trova la sua ostentazione nel conto bancario. Ognuno di questi tipi umani che Questi tratteggia, sono la personificazioni di crisi identitarie, di deliri psichici e ansie, di desideri di sopraffazione e importanza di un nome, tutti figli ribelli di quella scala sociale che non ha nessun modo per essere ribaltata, nel loro mondo, se non attraverso i soldi.
In questo ritmo narrativo serrato e senza fiato, che spinge a leggere il romanzo tutto d’un fiato, ognuno rincorre qualcosa che è di un altro, perdendo del tutto l’umana ragione a favore di una cupidigia insaziabile che non può non portare ad un tragico bilancio che non ha rispetto per innocenti o colpevoli, lupi o agnelli, vittime o carnefici. Il personaggio emblema di questa lotta è proprio Rino che incarna il carattere primordiale della lotta per la sopravvivenza, a discapito però della sua famiglia: un personaggio che per il suo carattere ambiguo e mutevole, ladro violento per poter liberare Milena dai soldi di Pintus e potersi costruire una vita insieme, sembra spingere il lettore a sospendere il giudizio, e costringerlo a fermarsi e domandarsi se le modalità per uscire da un mondo costruito solo dalla violenza e dalla sopraffazione siano esse stessa figlie di istinti animaleschi e negativi.
Un romanzo che, a leggerlo oggi, assume un carattere quasi profetico, descrivendo i caratteri di una qualsiasi “Mafia capitale” prima di “Mafia Capitale”, con meno accenni alla contemporaneità rispetto al film di Sollima ma che già individuava, vent’anni fa, l’esigenza di una scrittura che rileggesse il genere noir per indagare la società in cui viviamo.
di Matteo Moca
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