Una analisi originale sulle cause del fondamentalismo islamico tra orgoglio e frustrazione. Sulle tracce di una ipotesi illuminante avanzata sei secoli fa dallo storico arabo Ibn Khaldu.
Da il Giornale del 17 giugno
Uno dei grandi problemi del nostro tempo è rappresentato dalla sfida lanciata dai settori radicali del mondo islamico all’Occidente.
Perché è sorto tale scontro? Per Luciano Pellicani, il maggior studioso italiano di sociologia politica, non c’è dubbio: ciò accade a causa dell’espansione globalizzante del capitalismo, la cui avanzata planetaria è destinata, là dove giunge, a sradicare ogni forma socio-economica pregressa e, con essa, tutto ciò che le vive intorno, quali usi, costumi, norme giuridiche e politiche, concezioni etiche e religiose. In breve, il complesso della civiltà esistente ( Jihad: le radici, prefazione di Giovanni Sartori, Rubbettino, 2015, in ebook, euro 5,99).
Tutto questo ha accentuato la tendenza all’arroccamento nella propria identità; ha estremizzato, insomma, il bisogno di un senso esistenziale religiosamente forte, unica diga per far fronte all’avanzata della modernità e alla sua invadenza laico-edonistica. Del tutto fuori luogo è però ogni analisi diretta a individuare nella divaricazione tra l’opulenza dell’Occidente e la miseria del Terzo Mondo la vera causa del conflitto, perché i termini veri della contesa non sono tra povertà e ricchezza, come affermano in modo naïf i terzomondisti, ma, appunto, tra laicità e religione; scontro che illustra anche il senso profondo della storia contemporanea. Il passato degli ultimi due secoli è tutto fondato sul paradigma della modernità che, scaturita dalla secolarizzazione, fa tutt’uno con il capitalismo.
Secondo Pellicani, «l’Islam è una religione della guerra permanente, centrata sull’idea che i miscredenti devono essere posti di fronte all’alternativa: conversione o morte». È difficile, in questa situazione, scorgere una via d’uscita. Come sottolinea Pellicani, non si può dimenticare che nell’Islam diritto e religione sono indistinguibili, «talché la scienza giuridica ( fiqh ), essendo lo studio e la conoscenza della Legge Divina è una scienza teologica». Conseguentemente, la religione non è una componente o una dimensione della vita, che regola alcune questioni e dalla quale altre sono escluse: essa coinvolge l’intera esistenza, in una giurisdizione non limitata ma totale. Infine, ed è questa la cosa più grave, a causa dell’irrimediabile relativismo che lo attraversa, l’Occidente non sa difendersi, meglio: non vuole difendersi.
di Giampietro Berti
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