Da Il Giornale del 4 febbraio
È uscito in questi giorni l’ultimo libro di Luciano Pellicani, il maggior studioso italiano di sociologia politica: L’Occidente e i suoi nemici (Rubbettino, pagg. 444, euro 24). Un’uscita quanto mai opportuna, considerando i tempi in cui viviamo. Si tratta di un’opera assai vasta e complessa. Sono affrontati i problemi della storia culturale e politica europea a partire dalla Rivoluzione francese; i fenomeni dei totalitarismi novecenteschi e il loro rapporto con la storia intellettuale delle minoranze; la sostanziale continuità fra i conflitti ideologici che hanno attraversato gli ultimi decenni e quelli di religione che infestano il presente, con il connesso scontro di civiltà e le conseguenti pratiche terroristiche e rivoluzionarie; le controverse relazioni fra i diritti di libertà e di cittadinanza e il potere politico; l’esistenza del libero mercato e della proprietà privata quali salvaguardie irrinunciabili della libertà degli individui; la contrapposizione fra la cultura scientifica e l’emergere delle molteplici “filosofie della crisi” pervase da umori millenaristici.
Schematizzando possiamo riassumere la tesi di fondo del libro in questo modo: la vittoria planetaria del capitalismo ha dislocato l’anomia sociale della modernità e dunque la laicità della cultura occidentale, dato che ormai non c’è angolo del mondo dove non sia arrivata la logica del mercato e, con essa, quella della mercificazione universale. Lì dove è giunta, tale avanzata ha sradicato ogni forma socio-economica pregressa e tutto ciò che le vive intorno: usi, costumi, norme giuridiche e religiose.
Ciò ha provocato un rigetto incontrollabile fra tutti coloro che avversano il capitalismo e la società aperta, accentuando la tendenza all’arroccamento nella propria identità; ha estremizzato il bisogno di un senso esistenziale religiosamente forte, unica diga per far fronte all’avanzata della modernità e alla sua invadenza laico-edonistica. Poiché l’Occidente è la modernità in atto, allora per Pellicani risulta evidente che i suoi nemici sono i nemici della modernità stessa, perché è il trinomio secolarizzazione, modernità, capitalismo a costituire la forza trainante dell’intero processo storico, compendiato nella prevalenza dell’azione elettiva sull’azione prescrittiva, nel dominio della razionalità strumentale, nel relativismo dei valori; in breve nell’individualismo. Ed è contro questa realtà che si sono scagliate, a ondate successive, tutte le ventate reazionarie di rigetto – ieri comunismo, fascismo, nazismo; oggi islamismo jihadista e varie forme di radicalismo di destra e di sinistra – volte a bloccare o a distruggere il dilagare laico del non senso prodotto da tale processo.
Pertanto non vi è alcuna sostanziale soluzione di continuità fra i vari nemici dell’Occidente, essendo tutti accomunati dalla medesima antropologia “religiosa”. Naturalmente, quando parliamo dei nemici dell’Occidente ci riferiamo a minoranze intellettuali e a ristretti gruppi politici, non certo alle masse. È evidente che, dal punto di vista ideologico, politico e filosofico, fra queste varie minoranze esistono abissali differenze; sono, però, differenze che poco incidono sul piano dell’effettività storica; particolarità e divisioni insignificanti a fronte dell’analoga motivazione esistenziale. Quello che conta, in realtà, è la sottesa mentalità gnostico-manichea che le pervade. Perciò non è veramente decisivo, per Pellicani, analizzare il contenuto dei vari propositi politici o religiosi, ma la motivazione esistenziale che anima i loro protagonisti, riassumibile nella ricerca ossessionante del vero. Ricerca che esprime quelle precise istanze politiche, ideologiche e religiose ferocemente ostili alla società industriale e ai suoi valori. Le critiche più ricorrenti sono sintetizzabili in questo modo: la modernità ha fallito perché le sue premesse razionalistiche hanno portato all’insignificanza generale. Nella società odierna, l’esistenza umana è priva di ogni autenticità e di ogni disegno positivo e trascendente, tranne quello della ricerca del benessere personale. Queste critiche raggruppano un esercito molto eterogeneo, pervaso, tuttavia, da uno spirito comune: il catastrofismo. In conclusione, sono soggetti convinti che sia possibile porre rimedio o alla struttura deficiente del mondo (se sono laici) o agli errori di fede (se sono religiosi). Credono tutti, perciò, all’affettiva possibilità di una definitiva salvezza; propositi che altro non sono se non il sogno impossibile della fine della storia.
Pellicani mette in luce con grande lucidità la mentalità gnostico-manichea, che esprime il soggetto antioccidentale pervaso da odio e intolleranza nei confronti degli altri. Ciò spiega il suo estremismo autoreferenziale e la conseguente pratica della violenza. È infatti consapevole che, a competizione libera e pacifica, il capitalismo è vincente, e che l’unico modo per ostacolare questa vittoria è mantenere uno stato permanente di lotta. Lo gnosticismo, comunque, non è facile da estirpare, perché l’Occidente risulta attraversato dal conflitto fra quello che Pellicani chiama “spirito greco” e “spirito giudaico”, vale a dire fra l’illuminismo e il messianesimo, fra la filosofia e la teologia, polarità rappresentate simbolicamente da Atene e Gerusalemme.
L’analisi di Pellicani è pessimistica. Come ripete più volte, la società liberale ha qualcosa di «miracoloso», di «provvidenziale»: oggi viviamo in una “società aperta”, domani potremmo ripiombare in una “società chiusa”.
di Giampietro Berti
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