Fede e dissacrazione nella letteratura italiana del '900
a cura di Stefano Albertazzi
da Il Nuovo Diario Messaggero del 6 Dicembre
Per dire Dio, basta conoscere l’uomo. Per parlare di Dio, per intuire qualcosa di Lui, di quel mistero che presiede al creato, al tempo, alla storia, al proprio cuore è richiesta prima di tutto una verità sull’uomo.
L’uomo è un contradditorio mistero di bellezza e di peccato, di ardimento e di pavidità, di anelito, e di disillusione. In cerca di Dio come in continua fuga da Lui. Mendicante di felicità e collezionista di delusioni e inquietudine.
Per dire l’uomo, basta raccontare se stessi, avere il coraggio di scendere nella profondità del proprio io, così miseramente orgoglioso, così difficilmente umile, tracimante di domande, incapace anche solo di balbettare, il più delle volte, delle risposte.
Per dire Dìo, basta uno che sappia dire l’uomo, quasi con parole non proprie, impiegando un vocabolo che è umano e, al contempo, divino. “Dire Dio raccontando l’uomo” (ed. Rubbettino, p. 146, 12,00) di Don Divo Barsotti (a cura di Stefano Albertazzi) è il tentativo di questo straordinario sacerdote e mistico fiorentino di indagare nella letteratura italiana del ‘900, quelle parole che sussurrano Dio e il desiderio di rivelazione di chi le scrive.
Barsotti si cimenta nella critica dei grandi autori della letteratura italiana del secolo scorso da Svevo a Pirandello, da Pavese a Rebora fino ad Eugenio Montale. Non gli interessa l’analisi. Piuttosto, penetra in quei pertugi che il mistero si riserva nell’arte di questi autori. Il suo è un lavoro scomodo e coraggioso. Meticolosamente, si mette alla ricerca del senso religioso che accompagna e si nasconde nelle pieghe di certe pagine anche in quelle che paiono per lo più censurare Dio confinandolo in una pia e ipocrita consolazione dell’umana esistenza. Cerca come se tra le righe camminassero delle lettere misteriose. E queste indicassero al lettore e forse allo stesso autore, Uno da incontrare, magari alla pagina successiva. Come se tra le parole, ci fosse una parola. Come se tra i personaggi di carta, si celasse e si affacciasse uno di carne. Come se tra i tasti battuti di una vecchia macchina da scrivere, battesse, in realtà, un cuore sconosciuto. Uno che non trovi nella narrazione. Eppure, uno di cui si parla. Uno che non è protagonista e che, d’improvviso, ti pare di accarezzare tra le mani mentre si sfoglia la pagina. Perché ogni pagina quando esprime il desiderio profondo di verità di ogni uomo, diventa sacra e a suo modo, parola di Dio.
di don Massimo Vacchetti
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Altre Rassegne
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Dire Dio, raccontando l’uomo
di don Massimo Vacchetti - Avvenire 2013.06.17
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