da Laspro – rivista di letteratura, arti & mestieri del mese di Dicembre
Il dato di realtà ci restituisce le città come insieme strutturato di luoghi, spazi sensibili, che “sentono” e fanno sentire, attivano, orientano o disorientano i sensi. Ma per un autore collettivo calabrese, come chi scrive, può divenire facile trovare associazioni tra la propria idea di città e quella “del sole” di Tommaso Campanella: una utopia, un non luogo ricco di presupposti e di speranze.
Al nostro primo romanzo, “Blocco 52”, abbiamo aggiunto il sottotitolo, “una storia scomparsa, una città perduta”, poiché ci siamo ispirati a una vicenda vera, accaduta a metà degli anni Sessanta nel centro di una città, Catanzaro, e scomparsa dalla memoria collettiva della comunità stanziata su quel luogo, seppure l’eccezionalità di quel fatto in quel contesto avrebbe dovuto lasciare una traccia ben più profonda nel tessuto identitario della comunità stessa.
Perché città è anche identità, memoria, prassi sociali, linguaggi, dialetti e accenti, contenuti in un reticolo di strade e case, piazze e giardini, visioni e paesaggi. Città sono i tubi che conducono il gas e l’acqua nelle case, le fogne che accolgono le nostre deiezioni, le canne fumarie che veicolano le nostre emissioni. Città è tutto il complesso di relazioni formicolanti che la vivono e i conformismi e le devianze che ne tracciano sviluppo e conservazione.
La letteratura che incrocia la città ne disegna e restituisce la tensione tra l’aspetto statico della sua storia costruita e la dinamica delle sue trasformazioni incessanti: il titolo del nostro romanzo ad altro non è ispirato se non al luogo di sepoltura nel cimitero di Catanzaro, di un dirigente politico ammazzato il primo aprile del 1965. “Se pure desidero che i miei resti non restino, che siano dispersi, non posso negare che mi piace camminare tra sepolture, tombe, cappelle, cippi e monumenti funerari, sbirciare le foto, leggere le date, ricostruire da questi piccoli frammenti ipotesi di vite, caratteri, fortune e avversità, una intera società”. Questo abbiamo scritto, di uno dei luoghi più fissi (per quanto non immutabili) dello spazio urbano, come quello che ne accoglie i morti.
Ma la città è soprattutto dei vivi, è incontro e scontro, sono incroci e bivi, che materializzano a loro modo la metafora delle nostre esistenze. Come le nostre esistenze, le città sono sistemi relazionali evoluti e complessi, definiti, perimetrati eppure penetrabili, sempre carichi di significati e di memoria, capaci di esclusione, ma anche di internalizzazioni che li accrescono nel loro conformarsi e affermarsi.
La conquista di una città, un tempo non era soltanto appropriazione delle ricchezze, ma doveva darsi come distruzione, cancellazione dei luoghi e delle memorie: gli achei bruciano Troia, i crotonesi deviano il corso del Crati per sommergere Sibari. L’ambito urbano porta con sé significanti irriducibili, inassimilabili a qualsiasi altro fattore di identificazione oggettiva: esso è lì, non altrimenti né altrove. La città è poi potere, poteri, commerci, scambi, ossia continua definizione di compromessi tra soggettività asimmetriche che raggiungono un punto di equilibrio: la società urbana è alla continua ricerca di un equilibrio poiché essa è intrinsecamente entropica.
De-scrivere la città è quindi un esercizio senza tecnica, una espressione necessariamente ipertestuale, che vive di per sé e, nel farlo, di quella stessa città contribuisce a costruirne immagine e immaginario.
di Lou Palanca
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