Davide Giacalone: Le ali all’Italia? Quando capiremo che democrazia non è uguale a welfare (magazine.tipitosti.it)

di Cinzia Ficco, del 17 Gennaio 2020

L’Italia è l’unico grande Paese dell’Unione europea che non cresce. Non è il solo ad aver squilibri o problemi, ma è il solo che non cresce. Inchiodato. Alla base ci sarebbe una narrazione s-leale, sia da parte della politica, sia da parte dei media: quella per cui democrazia è sinonimo di welfare. Di qui, più spendiamo a debito, più rimaniamo indietro. Anche perché la spesa non destinata ad investimenti che incentivino produzione e lavoro, spesso legata alla clientela, non favorisce il merito e ci impedisce di progredire. Per crescere, al contrario, l’Italia avrebbe bisogno di una razionalizzazione della spesa, oltreché di un abbassamento della pressione fiscale.

Qui sta la sintesi de Le ali all’Italia, l’ultimo libro pubblicato di recente da Rubbettino del giornalista e saggista, Davide Giacalone https://www.davidegiacalone.it/ che, parlando dei mali italiani e riprendendo quanto scritto alcuni giorni fa su un sito nazionale, a TipiTosti dice: “Se gli alunni diminuiscono e non si fa che parlare di assunzioni di quanti persero un concorso dieci anni prima, la spesa cresce, l’età media degli insegnanti pure e la qualità diminuisce. Se, anziché, accorciare i tempi dei processi, si permette che durino in eterno, il costo cresce e l’inciviltà anche. Se oltre che costoso il fisco è anche labirintico, chiedendo tempi inaccettabili per essere soddisfatto, il dissanguamento non si arresta e resta meno tempo per recuperare”.  

Ma il quadro non è tutto a tinte fosche e gli input per un nuovo Rinascimento italiano li elenca in molte delle quasi 200 pagine del libro.

Concentriamoci su cosa non va

L’Italia è il solo Paese dell’Ue che non ha ancora recuperato le posizioni pre crisi, 2007 – 2008. Quando c’è stata recessione, da noi è stata assai più forte, quando s’è rivista la crescita da noi s’è fermata a meno della metà della media Ue. Questo è il lato nero del quadro. Poi c’è l’altro: se isoliamo il contributo all’aumento del prodotto interno lordo dato, negli ultimi cinque anni, da industria, commercio, trasporti e turismo noi non solo cresciamo, ma ci siamo riusciti meglio della Francia e della Germania. Abbiamo, dunque, un sistema produttivo che mostra un cuore forte e capacità di competere.

Ma?

Una spesa pubblica totalmente corrente e largamente improduttiva. Ascolti le ricette delle forze politiche principali, pur in conflitto fra loro, e resterà basita: chiedono di aumentare la spesa pubblica, finanziandola con i prelievi a carico del sistema produttivo, oppure a debito, ossia generando fiscalità futura e mangiando il valore della spesa. Così si fa solo crescere il costo del debito. L’esatto opposto di quel che il buon senso suggerisce. Questa la maledizione che viviamo: si sposta ricchezza dal lavoro al non lavoro, promettendo una crescita che, in questo modo, non ci sarà mai, e siccome, comunque, l’Italia produttiva resta a galla, ciascun governante, a turno, pretende d’attribuirsi il merito di quel che ostacola. Assurdo.

Nel suo libro non risparmia critiche neanche agli imprenditori. Non potremmo scommettere su di loro per mettere le ali al nostro Paese?

Anche qui è paradossale: le imprese che vanno meglio, generando benefici collettivi e utili per i propri azionisti, sono quelle che non dipendono dalla spesa pubblica. Eppure la corsa, sempre, continuamente, è ad accaparrarsene una parte. Ciò genera arrembaggio e affondamento. Si chiede di avere, ma si sa che non può continuare. Così gli stessi incentivi, anziché essere stabili e prevedibili nel tempo, di modo che possano servire a costruire piani produttivi, sono sussultori, sempre temporanei e imprevedibili. Quindi si spende, ma neanche si riesce a coglierne tutte le opportunità. Detto questo, attenti a non procedere per categorie! Politici, giornalisti, imprenditori e così via. Ci sono imprese che rendono grande l’Italia e imprese che si rattrappiscono nella rendita, chiedendo di essere tenute a galla dai soldi del contribuente. Indebolire le prime per reggere le seconde è suicida.

Sempre restando al titolo del suo libro, per mettere le ali all’Italia trova più funzionale il piano in cinque punti lanciato da Zingaretti qualche giorno fa o quello shock di Renzi, che sbloccherebbe 120 mld di euro?

Non si cresce a chiacchiere e non si vive di propaganda. A quanti si presentano sulla scena, promettendo spese, va chiesto: dimmi dove tagli la spesa esistente. Se non me lo dici e rispondi che punti sulla crescita è segno che sai solo generare deficit e debito, a loro volta generatori di fiscalità demoniaca. Grazie, ma quale sia il vostro colore siete gatti incapaci di acchiappar topi e che stanno industriandosi per avere le crocchette dal contribuente.

C’è oggi un partito capace di una narrazione più leale per il nostro Paese?

Ci sono le persone. Ce ne sono in politica, nel giornalismo, nella cultura, nelle imprese e nel lavoro. Ma hanno perso rappresentanza. O, per averla, finiscono con il creare forze politiche che portano il nome del creatore e presunto leader. Quini no, la risposta è no. Il che, ripeto, non significa non ci sia nessuno, ma non c’è una forza organizzata, una cultura solida, un’iniziativa non estemporanea che rappresenti quell’Italia. Il che, sia chiaro, è colpa nostra.

Da meridionale, anche quella dell’autonomia differenziata è una favola tossica per il Paese?

È una favola per creduloni. Al fondo fa credere che si pagherà di meno e si tratterrà di più. Il bello è che pensano di poterlo far credere a tutti ovunque. Sicché non occorre essere filosofi e matematici per rilevarne l’illogicità. Prenda la sanità: che senso ha avuto distruggere il servizio sanitario nazionale e creare quelli regionali? Una follia diseconomica e squilibrante. Certo, c’è chi amministra bene e chi male, sicuro, ma il rimedio alla frantumazione non è certo renderla più netta.

A proposito di narrazioni leali, ha visto Tolo Tolo? Pensa sia il giusto modo per parlare di nuove frontiere e immigrazione?

L’ho visto. Ho sempre apprezzato Luca Medici, in arte Zalone, perché sa far ridere e nello stesso tempo, pensare. Mestiere antico: castigat ridendo mores. Il film mi è piaciuto. La sua è una lettura anche poetica del tema immigrazione. È una lettura, però, non un saggio esaustivo del tema. Noi, italiani, europei, occidentali a natalità calante, abbiamo bisogno degli immigrati, bisogno – contrariamente a quel che tutti credono, lo sosteneva anche il governo Conte-Salvini, scrivendo che abbiamo bisogno, bisogno, di 165mila immigrati in più l’anno, tutti gli anni- Al tempo stesso non possiamo certo far entrare tutti. Frontiere chiuse e frontiere aperte sono due fesserie eguali e opposte. Si deve essere capaci di regolare e, so di dire cosa che può disturbare taluno, scegliere chi fare entrare. E questa non è certo poesia, ma il fare i conti con la realtà.

Rimaniamo sulle narrazioni infedeli: il sondaggio della Euromedia Research di Alessandra Ghisleri, pubblicato sulla Stampa il 14 maggio, per cui l’1,3 per cento degli italiani pensa che la Shoah sia una leggenda inventata. Un altro dieci e mezzo per cento si limita a sostenere che il terribile consuntivo (sei milioni di ebrei ammazzati) sia stato fortemente esagerato dalla storiografia. Cosa si fa e quanta responsabilità ha la scuola oggi, molto preoccupata di far raggiungere gli stipendi dei suoi insegnanti a quelli di altri Paesi Ocse?

Sgomberiamo il campo dal tema delle retribuzioni: gli insegnanti italiani, per ora lavorata, sono pagati in linea con la media Ocse, niente affatto sotto. Si arrabbiano taluni a sentirlo dire, ma è così. Pagherei di più i bravi, di meno i mediocri e licenzierei i cattivi, ma per farlo si deve potere valutare. Quando cominceremo non sarà mai troppo presto. L’antisemitismo è malapianta con radici antiche, ma quello con cui oggi facciamo i conti è più che ignoranza, ma il pregiudizio che la storia sia stata raccontata da una parte. Una scemenza che crede di sapere che, se i persecutori degli ebrei erano di destra, ne deriva che l’esagerazione nel raccontare quell’infamia abbia l’impronta della sinistra. Robaccia. Buona parte degli ebrei italiani furono favorevoli al fascismo – come larga parte degli italiani, del resto-, sicché furono traditi due volte: come cittadini e come sostenitori del regime. I Lager nazifascisti non furono i soli a ospitare gli ebrei per sopprimerli, ci fu anche il Gulag staliniano (la “l” di Gulag sta per Lager). L’antisemitismo, magari travestito da antisionismo, è presente, eccome nella cultura di certa sinistra, magari per malinteso filopalestinismo. È insensato che la sinistra rimproveri l’antisemitismo della destra e la destra quello della sinistra: assieme si condanni l’antisemitismo, facendo finta d’essere persone serie e civili.

Un’ultima curiosità: cosa le ha dato lavorare a stretto contatto con Muccioli?

Molto. Lo mosse l’istinto, portandolo a fare cose grandiose. Non c’era santità  – semmai profondamente laico – o bontà salottiera, ma il rifiuto di vivere bene senza far nulla per chi era caduto. E in chi era caduto, la capacità di trovare sempre il lato buono, da valorizzare. E una cosa: il lavoro come valore, educazione, emancipazione. Penso molti farebbero bene a leggere – non rileggere, perché non le hanno mai lette – le cose che lo aiutai a scrivere. C’è ancora molto da imparare.

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