D’Annunzio diplomatico e l’impresa di Fiume (La Repubblica)

di Aurelio Musi, del 31 Ottobre 2022

Secondo Eugenio Di Rienzo, autore del volume “D’Annunzio diplomatico e l’impresa di Fiume” (Rubbettino), il condottiero della marcia di Ronchi non fu 1’«inventore del fascismo» né il promotore, con la promulgazione della Carta del Camaro, di un modello politico libertario, progressivo, tendenzialmente anticapitalistico, quasi bolscevizzante, incompatibile sia con il regime liberale, socialmente conservatore, sia con quello partorito dalle «leggi fascistissime», emanate tra 1925 e 1926, poi perfezionato durante l’arco temporale del “Ventennio nero”. Di Rienzo, insiste, piuttosto, sulla «impoliticità» dannunziana, nel senso che Thomas Mann conferì a questa parola: di «nausea perla politica», per dirla con Benedetto Croce, comune a molti altri intellettuali della sua generazione. Proprio da questo disgusto zampillava «la volontà di D’Annunzio di dar vita non a un partito ma a un movimento politicamente ereticale, dove egli non avrebbe dovuto rivestire il molo di capo politico ma di “Vate”, di “Guida”, di profeta e di Messia, che solo la discesa nel più vasto agone della politica internazionale, come Malaparte perfettamente comprese in un passo della “Tecnica del colpo di Stato”, poteva assicuragli. Come scrive Di Rienzo, è proprio dalla volontà di veder realizzato questo obiettivo «che nasce il “D’Annunzio diplomatico”, e con lui il progetto di quella “Lega
dei popoli oppressi”, concepita codi Aurelio Musi me “Anti-Società delle Nazioni”,
immediatamente rubricata nei
rapporti dell’Ammiragliato inglese come «uno dei più pericolosi
movimenti rivoluzionari attivi
fuori e dentro i confini dell’Impero britannico». Quella coalizione
doveva estendersi, infatti, dall’«indomabile Sinn. Féin d’Irlanda, ai
Turchi, agli Egiziani, agli Indiani,
ai Cinesi, alle masse mussulmane,
alla nuova Russia di Lenin, all’Austria tedesca, all’Ungheria, alla
Bulgaria, ai Fiamminghi, ai Catalani, ai «negri degli Stati Uniti», alle
«Repubbliche latine d’America» e
a «tutte le nazionalità balcaniche
che ora gemono e languono sotto
il bastone del brutale serbo e che
anelano ardentemente a riconquistare la propria indipendenza».
Si trattava di una «vera Santa Alleanza», opposta nei fini a quella
sancita nel settembre 1815, come
l’avrebbe definita uno dei maggiori collaboratori flumani di D’Annunzio, Léon Kochnitzky, dalla
quale facendo capo a Fiume, doveva partire la grande insurrezione
contro il nuovo ordine mondiale,
dove avevano trionfato le «Nazio


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