Organizzazione, mutamenti e scissioni della sinistra maggioritaria italiana (PCI - PDS - DS- PD)
A poco più di dieci anni dalla sua nascita, celebrata con le primarie e la vittoria di Veltroni, il Partito democratico appare avvolto da molte nebbie che contribuiscono a offuscare il suo orizzonte. Sorto con l’idea della vocazione maggioritaria, che ambiva all’autosufficienza politica, da alcuni anni, dopo l’exploit delle elezioni europee del 2014, sconta un costante calo dei consensi che ne ha ridimensionato fortemente prospettive e ambizioni. La crisi del Pd non è sola. Essa, infatti, colpisce anche altri partiti alla sua sinistra che, stando alle stime dei sondaggi, non sembrano in grado di raccogliere l’emorragia dei consensi del Pd. È come se questo declino non riguardasse solo il “partito di Renzi”, come lo aveva efficacemente apostrofato il politologo Ilvo Diamanti, ma tutte le varie anime che si sono manifestate con la fine del Pci. Tra queste anime, quella del gruppo dirigente che dal Pci è arrivato al Pd è stata certamente quella maggioritaria e, anche per questo motivo, può essere utile ripercorrere questo cammino e provare a comprendere meglio come si è giunti alle difficoltà attuali. Un recente volume di Valerio Marinelli, intitolato Il partito. Organizzazione, mutamenti e scissioni della sinistra maggioritaria italiana(PCI-PDS-DS-PD), edito da Rubbettino, si cimenta efficacemente in questa avventura. Dopo una premessa teorica sui modelli di partiti e sulle trasformazioni che determinano i mutamenti nei partiti, il volume entra nel caso di studio seguendo, ovviamente, una linea cronologica che parte dal Pci, partito burocratico di massa per definizione, del quale si ricostruisce il modello organizzativo e il suo sviluppo fino a quando sul fare degli anni ottanta l’onda del riflusso, l’imporsi di valori individualistici, l’emergere di nuovi soggetti dell’economia, non determinano una minor presa nella società italiana come si vede nel trend dei consensi di tutto il decennio (a eccezione delle europee del 1984, svoltesi pochi giorni dopo l’improvvisa morte di Enrico Berlinguer che, sull’onda dell’emozione che manifestò tutto il Paese, portò il Pci al sorpasso sulla Dc). Con l’avvento alla segreteria di Achille Occhetto, che sostituì Alessandro Natta, iniziano quelli che Marinelli chiama modelli dI transizione. È la fase della Bolognina, della nascita del Pds e della prima scissione, quella di Rifondazione comunista. Dal punto di vista organizzativo si vive in una fase ibrida dove il grosso della struttura burocratica del Pci viene mantenuta, ma si indebolisce man mano il legame con la società e con quelle fratture che avevano generato i conflitti suoi quali si era costruita una rilevante parte del consenso in passato. Quando con la nascita dei Ds i postcomunisti riescono a raggiungere il posto di guida del governo, dopo avere ottenuto importanti successi nelle amministrazioni locali, si va affermando un nuovo modello dove gli eletti prevalgono sul partito, a sua volta radicato sempre più nello Stato e sempre meno nella società. Ciò si accompagna a una propensione più leaderistica e a una formulazione della proposta politica sempre più sfumata, piagata alle regole della comunicazione. Con la nascita del Pd il modello di partito muta nuovamente, a cominciare da uno dei suoi principi cardine che lo vuole non solo fatto di iscritti, ma “di iscritti ed elettori”. Questa idea convive con un forte alleggerimento della struttura che si regge su una leadership nazionale, dotata di ampi poteri, improntata in senso carismatico e massmediatico, e strutture periferiche spesso scalate da abili costruttori di consenso locale. L’iscritto perde di peso, così come tutti gli organi intermedi e della discussione che vengono assegnati al vincitore delle primarie.
Come osserva Marinelli: …dei pilastri fondamentali da cui i paradigmi organizzativi della sinistra prendono abbrivio, il partito democratico mutua solo elementi parziali e marginali, discostandosi così in termini netti dalla storia organizzativa del ciclo Pci-Pds-Ds.
Pur con i suoi grandi mutamenti e innovazioni, nel Pd sono sopravvissuti alcuni residui modelli culturali di organizzazione del partito che sarebbero alla base della dialettica interna, almeno, occorre qui precisare, fino all’ultima scissione, quella del 2017. In seguito a essa, quello che l’autore definisce come un modello di partito personalizzato, che fa convivere leadership e premiership, appare aver lasciato il posto a un partito personale del quale il leader è dominus assoluto. Che non sia anche in questo uno dei motivi della crisi del Pd?
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