Da Il Gazzettino del 2 luglio
La crisi del primo e del secondo decennio del nuovo millennio ha fatto emergere con forza e in modo netto i nodi irrisolti del progetto europeo, rimettendo anche in profonda discussione tutta la costruzione europea fino ad allora realizzata. Alle emergenze si è risposto soprattutto con coraggiose e valide misure monetarie, ma non con un rinnovato slancio di politica economica comune, né di attribuzione di nuove competenze alle Istituzioni europee.
I tanti sacrifici sono, quindi, apparsi ai cittadini spesso slegati da un grande disegno condiviso di politica economico-sociale (…) anche con balzelli pagati per altri, come costi ingiustificabili ed incomprensibili per gli errori di altri e mai come segni tangibili di un rinnovato patto di civiltà e di nuova democrazia. Hanno, infatti, dominato i tecnicismi, certamente efficaci e molto pragmatici, ma non inquadrati in un nuovo slancio di crescita e di progresso per tutta l’Europa unita e libera.
E’, quindi, riaffiorata dal profondo delle coscienze la paura del predominio germanico sull’Europa, questa volta realizzato non dalla disciplina imperiale prussiana, né tantomeno da rigurgiti di nazismo, ma dal predominio di fatto in un’Europa che ha in parte disperso la bussola dei grandi ideali di crescita comune.
In questo imprevisto labirinto l’Europa ha visto calare profondamente la fiducia in sé stessa. Pertanto riemergono nazionalismi miopi in un inevitabile contesto di globalizzazione e di colossi in essa protagonisti.
Come uscirne? Non esistono scorciatoie. Occorre rimettere in ordine le idee, ricordandoci da dove veniamo e com’è stato complesso e tortuoso il cammino finora realizzato. Occorre anche capire “dove siamo”, andare a fondo delle cause dell’attuale fase di crisi economica ed istituzionale dell’Europa, una Europa che da un quarto di secolo è tutta libera e (dopo la guerra nella ex Jugoslavia), tutta in pace con se stessa; caso unico nella sua storia plurimillenaria.
Occorre definire nuovi obiettivi strategici, grandi e diffuse consapevolezze, sogni di libertà e di nuova democrazia, costruendo un percorso in cui le regole seguano e non precedano, perché siano concepite come la sintesi alta di obiettivi e ideali, come segno tangibile di diritti e doveri.
L’Unione Europea deve, infatti, innanzitutto definire la propria nuova identità, darsi finalmente e davvero una Costituzione, disegnare obiettivi economici e strategici che siano capaci di esprimere una visione di politica economica ampia, condivisa, di lungo periodo che miri allo sviluppo sociale e al progresso.
Le unioni di segmenti economici europei e la stessa moneta comune non sono più degli obiettivi e rischiano una crisi di rigetto se non inglobati in una esperienza più alta, più ambiziosa che impari e faccia tesoro degli errori commessi.
Occorre un’Europa più pacificata economicamente al proprio interno, dove gli spread e le disuguaglianze fiscali non proliferino o penalizzino più così pesantemente gli Stati membri, le rispettive economie e le prospettive di prosperità e di civiltà.
Occorre, in sostanza, un ripensamento complessivo che superi le contraddizioni che non basta elencare per poterle risolvere.
In questi anni di crisi, le esistenti istituzioni europee, innanzitutto la BCE, hanno salvato il salvabile, hanno evitato che la grande crisi economica preludesse ad una disgregazione della giovane Europa. Ma ora più che mai le indispensabili misure monetarie non sono più sufficienti, anche se sono tutt’ora necessarie ed utilissime.
Occorre una nuova riflessione progettuale, una nuova speranza collettiva, la consapevolezza che si deve crescere insieme e che l’alternativa è una decadenza con rischi di salti nel buio irreparabili.
Di Antonio Patuelli
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