Da Avvenire del 30 giugno
A nutrirlo sin qui sono stati l’attaccamento alla terra natale e l’amore per la letteratura, gli affetti familiari e i frutti di un cristianesimo senza tempo. Non si è mai staccato dai ricordi dell’infanzia, non ha mai cancellato remote immagini di riti arcaici, non ha mai dimenticato le sue radici e chi, come lui, ha continuato a celebrarle nella fedeltà ai luoghi, ai valori, ai sentimenti. Ha volato basso per scelta, facendo lo scricciolo pur avendo ali di falco.
Figlio di quel Mediterraneo che accostava il pane al vino, la gioia alla sostanza, icona oggi tanto lontana, in questo libro ha legato le pagine scritte per Brancaleone, il paese dov’è nato il 21 novembre 1952, muovendosi in una sorta di “passo d’addio”.
Stiamo parlando di Gianni Carteri (noto per i suoi saggi letterari, soprattutto dedicati a Corrado Alvaro) e del suo nuovo volume “Memorie al confino” (la prefazione è di Cesare Cavalleri). Di fatto: un inno al luogo dove Cesare Pavese visse confinato sette mesi (dal 4 agosto 1935 al 15 marzo 1936, un tempo di noia, d’insoddisfazione «la molla prima di qualunque scoperta poetica») e dove Carteri è ritornato in un autoesilio volontario (a star lontano dalla «volgarità del mondo in cui siamo, superficiale, corrotto, consumista, stoltamente tecnologico»). Non si pensi però ad una memoria autobiografica, nonostante tante sequenze restituite persino con i loro profumi d’agrumi o di origano, di olio o di mosto, con i suoni percettibili di una campana o il rumore di una secchia nel pozzo, con i bagliori di una lampada votiva sempre accesa o dei raggi del sole. No, perché Carteri tutt’al più si siede all’ultimo posto di una tavola dove preferisce lasciare la parola agli autori più amati e studiati tutta una vita: Pavese, Franco Costabile, Rocco Scotellaro, Lorenzo Calogero, Alvaro. Non è tutto. Nel libro gli ultimi capitoli sono riservati ai maestri che l’hanno aiutato a crescere. Tra gli altri:Pasquino Crupi, Carmelo Filocamo, e, soprattutto, Vito Teti, antropologo e meridionalista di razza. Con lui e don Massimo Alvaro, fratello di Corrado, nell’incipiente primavera del 2011 Carteri si chinava su ritrovate carte giovanili dello scrittore sanluchese (pubblicate recentemente da Donzelli sotto il titolo Un paese e altri scritti giovanili. 1911-1916). Già, ancora Alvaro. Perché se a Pavese, Carteri riconosce «con il mito» di aver narrato «la vita di tutti noi», «dal mito del silenzio al silenzio del mito», l’autore più amato resta il sanluchese. E Alvaro: «punto costante di resistenza morale, di speranza feconda», in una terra «sempre più spaesata, smarrita, con una storia sbagliata e dove spesso», così dice un vecchio adagio del “maledetto Sud”, «1′ ingratitudine umana è superiore alla misericordia di Dio».
Di Marco Roncalli
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