Michele Cifarelli e la vita politica italiana dal fascismo alla stagione europeista (1938-1954)
«Un meridionalista per l’Europa»: in questa definizione può essere racchiusa l’esperienza politica e di vita di Michele Cifarelli, avvocato, antifascista, esponente del partito repubblicano e ambientalista originario di Bari, che è analizzata nella penetrante biografia di Giuseppe Spagnulo, “Un giovane liberale del Sud. Michele Cifarelli e la vita politica italiana dal fascismo alla stagione europeista (1938-1954)”, edita da Rubbettino.
Spagnulo ricostruisce l’esperienza politica di Cifarelli, dalla maturazione di una coscienza antifascista già negli anni Trenta, fino alla sua adesione al Partito Repubblicano Italiano, successiva al crollo del regime fascista e della monarchia e alle elezioni per l’Assemblea Costituente. Il punto d’inizio del volume è il 1938, anno in cui il giovane Cifarelli, dopo la laurea in Giurisprudenza, conseguita presso l’Università di Bari, vince il concorso in magistratura. Sono gli anni dell’acme del consenso al regime, raggiunto dopo la conquista dell’Etiopia del 1936 e che, proprio nel 1938, vede l’inizio di un’inversione di tendenza che segna l’avvio di un declino nella consonanza tra Mussolini e gli italiani. La vicenda di Cifarelli è, in questo senso, illuminante.
La progressiva maturazione di una coscienza politica democratica e antitotalitaria non fu influenzata dal «clima di ottusa ufficialità e avvilente conformismo» dell’opinione pubblica meridionale, e barese in particolare, dell’epoca, ma si nutrì dei contatti, quasi sempre clandestini, con gruppi di giovani intellettuali non organici al regime che si muovevano nell’orbita del magistero etico-politico di Benedetto Croce e dell’editore Laterza. Negli anni universitari, Cifarelli aveva stretto amicizia con un altro studente molto promettente, Aldo Moro, ma fu soprattutto il sodalizio con Tommaso Fiore e con Guido Calogero a rivelarsi fondamentale per la crescita culturale e per la maturazione militante del giovane antifascista barese.
Spagnulo consente traccia la vicenda politica di Cifarelli, mantenendola sempre nell’alveo dei due centri di gravità ideali costituiti dal meridionalismo e dall’europeismo. In questo senso, nella formazione politica e culturale del futuro esponente repubblicano pugliese, se Fiore rappresenta il «meridionalismo democratico e socialista di matrice salveminiana», Calogero è, invece, il fondatore, insieme ad Aldo Capitini, in Italia, del movimento liberalsocialista, un fenomeno politico e culturale dal respiro fortemente internazionale che di distanziava dalla lezione di Croce.
Le radici ideologiche del liberalsocialismo, originate dal tentativo di coniugare la libertà e l’autonomia dei soggetti pubblici e privati della tradizione liberale e democratica con il principio della solidarietà sociale della tradizione cristiana e socialista, sono tutte presenti nel giuramento, redatto dall’antropologo Ernesto De Martino, del gruppo liberalsocialista barese, denominatosi “Giovane Europa”. In esso, il richiamo a un’«Europa cristiana e liberale» convive con un impegno per un’attività cospirativa fortemente radicata al Mezzogiorno d’Italia. Tale impegno si chiuse con la scoperta di quest’attività clandestina da parte della polizia politica del regime, che arrivò a trarre in arresto quasi tutti i componenti del gruppo liberalsocialista barese, compreso Cifarelli, detenuto dal 9 giugno al 28 luglio 1943.
Dopo la sua liberazione, coincisa con il crollo del regime fascista, Cifarelli tornò a Bari, dove fu tra gli animatori delle trasmissioni di Radio Bari, una delle stazioni radiofoniche più importanti dell’epoca, anche per i compiti di propaganda estera che le erano stati affidati. Successivamente, divenne responsabile della direzione organizzativa del Partito d’azione, a cui aveva aderito. Spagnulo fa una ricostruzione molto precisa e di grande interesse del ruolo di Cifarelli nelle vicende politiche pugliesi e nazionali tra il 1943 e il 1949 e del suo ruolo all’interno del partito erede di una problematica tradizione risorgimentale. Bari è una città diventata punto di riferimento della vita politica e culturale di una regione, la Puglia, «che improvvisamente viene a configurarsi come l’ultimo lembo dello Stato italiano legittimo».
Il futuro capoluogo divideva, di fatto, al cinquanta percento, con Brindisi, la funzione di capitale del Regno del Sud. In questo contesto, la decisione, da parte della direzione del Partito d’azione, di opporsi al governo Badoglio, fu proficua, soprattutto nel Mezzogiorno, come si constatò in occasione del convegno dei partiti antifascisti, tenutosi a Bari il 28 e il 29 gennaio 1944. In quell’occasione, le decisioni prese dal Congresso, che spianò la strada al varo di una Giunta esecutiva, furono influenzate molto dal radicalismo delle posizioni azioniste, al cui interno il gruppo barese di Cifarelli costituiva una delle anime più agguerrite.
Il ruolo di fulcro di una grande coalizione di sinistra e, insieme, di pungolo dei tradizionali partiti del movimento operaio, che il Partito d’azione, piccola formazione composta da quadri, aveva cercato di svolgere fino a quel momento, e che costituiva la sua unica speranza di sopravvivenza, fu reso impraticabile dalla «svolta di Salerno», con cui Palmiro Togliatti, leader del partito comunista, entrava nel governo Badoglio. A partire da quel momento, il partito si frammenta in diverse posizioni: dalla componente di Giustizia e Libertà, al movimentismo di Emilio Lussu, al meridionalismo di Guido Dorso.
Ben presto, questa composita galassia si sarebbe polarizzata nel dualismo tra Lussu, che continuava a sostenere unitarie formule frontiste, e Ugo La Malfa, che si allontanò dal partito, agli inizi del 1946, dando vita a un autonomo «movimento per la democrazia repubblicana». Cifarelli seguì La Malfa nel partito repubblicano, accentuando, forse, la componente liberale del suo complesso pensiero politico. Egli si impegnò a fondo, infatti, in battaglie politiche di respiro internazionale, volte a dimostrare che il rinnovamento della società italiana e la piena realizzazione di uno Stato libero e pluralista dipendeva dalla intensificazione di relazioni politiche e di cooperazione economica con gli Stati Uniti e con i paesi dell’Europa settentrionale e occidentale.
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