da Il Foglio del 13 Dicembre
Roma. “Bettino Craxi dunque colpevole”. Forse il destino era già nel nome, dubita il libro di Nicolò Amato, ex direttore del Dap, ex avvocato, anche difensore dell’ex premier socialista, che viene presentato oggi pomeriggio alle 17,30 alla Fondazione Craxi (Rubbettino, 346 pp., 16 euro). “Gli altri erano Andreotti, Forlani, Scalfaro, Spadolini, La Malfa, Berlinguer, Occhetto, D’Alema… Lui, invece, era Bettino, semplicemente Bettino”. Per gli amici, ma anche per i suoi avversari “e, più ancora, i suoi nemici, per esprimere con forza, quasi con violenza, la personificazione in lui del male assoluto, da sconfiggere, anzi da distruggere”. A presentare il libro con Stefania Craxi ci sarà Silvio Berlusconi. Ma Nicolò Amato parafrasa Marco Antonio di Shakespeare per spiegare di essere “venuto a seppellire Bettino, non a farne l’elogio. Il male che l’uomo fa gli sopravvive; il bene, spesso, resta sepolto con le sue ossa”. Lui, come avvocato difensore di Craxi, ha sperimentato in prima persona il livello di ferocia cui era arrivato l’accanimento anticraxiano quando, nel 1993, il candidato sindaco di Roma, Francesco Rutelli, gli pose l’aut aut tra rinunciare a questo incarico e far parte della sua giunta. “In uno stato di diritto, in un sistema di giustizia giusta e convincente l’impegno politico e l’esercizio di una professione sono cose completamente separate, senza reciproche interferenze”, fu la risposta. Amato, che fu anche magistrato a Roma, ad esempio al tempo del processo Moro, spiega che il suo vuole essere “un libro dissacratorio”, a partire dalla “brutale sincerità” evocata da Craxi in quel discorso del 3 luglio 1992 alla Camera, in cui denunciò il “problema di moralizzazione della vita pubblica” con una chiamata di corresponsabilità che nessuno raccolse. “Non sono stato difeso da una parte di coloro che avevano il dovere di difendermi”, avrebbe anche detto Craxi in un altro discorso alla Camera. “Molti invece hanno seguito la tentazione del capro espiatorio, mito pagano di tradizione antichissima che è sempre equivalso alla illusione temporanea di allontanare da sé una colpa, un male, e di dare in questo modo una soluzione ai problemi posti dalla realtà”. Come ex magistrato, Amato smonta il cumulo di sentenze che inflisse a Craxi 23 anni e 9 mesi di reclusione e 20 miliardi e 210 milioni di lire di multa. Il principio che “Craxi era il capo carismatico di un partito a gestione accentrata, e dunque egli ‘non poteva non sapere’ e ‘non poteva non volere’ i delitti commessi dagli uomini di quel partito, e dunque di tali delitti egli era penalmente responsabile o corresponsabile, a meno che non avesse dimostrato di esserne innocente”, a parte non essere applicato nel caso di altri leader di partiti altrettanto e anche più accentrati, ha violato infatti principi fondamentali della Costituzione quali il carattere rigorosamente personale della responsabilità penale, la presunzione di non colpevolezza, la sacralità del diritto di difesa. Mentre l’irretroattività fu clamorosamente violata con il marchio della latitanza, affibbiato a Craxi quando si trovava già all’estero in modo invece pienamente legittimo.
Come al tempo di Robespierre e della condanna di Luigi XVI, osserva Amato, si voleva immolare la vittima sacrificale per consacrare la Rivoluzione. Ma tutto è stato inutile, come ha riconosciuto anche Francesco Saverio Borrelli: “Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale”. In prefazione Vittorio Feltri chiede perdono per avere nel 1992 “partecipato alla battuta di caccia al Cinghialone”. Scrive: “A Bettino Craxi ho dedicato i titoli più carogna della mia vita professionale”. In appendice una lettera ad Anna Craxi, in cui Giorgio Napolitano ammette che il leader socialista fu colpito “con durezza senza eguali” e con modalità che secondo la stessa Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo violavano il diritto a un processo equo.
di Maurizio Stefanini
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