Nel suo libro, Renato Cantore racconta la storia di due personaggi di valore nel “ghetto dei migranti” che non hanno abbandonato il loro popolo
Frank Sinatra, Al Capone, Joe Di Maggio, Fiorello La Guardia… Tutti qui i personaggi di spicco dell’emigrazione italo-americana negli States? Fortunatamente no, e ringraziamo Renato Cantore, giornalista esperto di storia dell’emigrazione, per aver proposto nel suo libro “Harlem, Italia: Covello e Marcantonio, due visionari nel ghetto dei migranti”, edito da Rubbettino, due personaggi di valore che non hanno abbandonato il loro popolo. Il libro figura tra i podcast del Book Corner del Meeting di Rimini 2023, a cura dell’Associazione Italiana dei Centri Culturali, già fruibile sulle principali piattaforme on-line.
L’epicentro dell’azione in campo educativo, sociale e politico dei due protagonisti, entrambi di origine lucana come pure Renato Cantore, è il quartiere di Harlem, in particolare la zona Est, nella prima metà del secolo scorso, quando l’insediamento degli italo-americani raggiunse i 90mila abitanti intorno al 1930, costituendo la principale “Little Italy” americana.
Cantore descrive bene le gravi problematiche di quella comunità italiana, legate non tanto alla integrazione con le altre realtà etniche compresenti in un quartiere allora molto disastrato, quanto alla difficile accettazione del modello di vita americano. Gli italiani godevano di pessima fama, ed erano mal tollerati anche dai cattolici di più antico insediamento. Una cattiva reputazione li accompagnerà per lungo tempo, anche nelle chiese, relegandoli negli scantinati delle chiese, mentre la parte “nobile” era riservata agli irlandesi. Per decenni la statua della Madonna nella chiesa di Nostra Signora del Carmine, costruita dagli italiani di Harlem sulla 116ma strada, fu relegata nel “basement”. Ciò nonostante l’annuale festa di metà luglio divenne da subito il momento identitario della comunità.
Mentre l’identità italiana non trovava ambiti di valorizzazione, nascevano conflitti tra i figli nati in terra straniera e i genitori, questi ultimi ostili verso una scuola che inculcava modelli di vita non capiti e nel contempo toglieva braccia al necessario sostentamento familiare. Qui si inserisce l’opera del primo “visionario” Leonardo Covello (1887-1982). Egli capisce il ruolo strategico dell’educazione e dà inizio ad un enorme lavoro che lo porterà sia alla creazione della prima scuola superiore di Harlem, della quale sarà preside per lunghi anni, sia all’inserimento della lingua italiana tra le materie oggetto di insegnamento.
Collaborando con tutte le realtà educative locali (anche in campo religioso, praticando un ecumenismo “ante litteram”), fece diventare il suo istituto una “scuola di comunità” dove anche la popolazione adulta trovava spazi per incontrarsi, discutere e realizzare iniziative, e che tra gli altri vide intervenire anche Frank Sinatra. Ma forse il fiore all’occhiello per lui fu un suo giovane allievo, Vito Marcantonio (1902-1954), che sarebbe diventato il secondo “visionario” di cui ci parla Cantore.
Vito, dotato di mente acuta e propenso all’azione fu ben presto valorizzato da Fiorello La Guardia che lo chiamò, da giovane laureato in legge, nel suo studio legale e poi a collaborare alla propria campagna elettorale per l’elezione a sindaco di New York.
Sia Fiorello che Vito avevano una spiccata sensibilità sociale e condividevano le politiche del New Deal di Roosevelt.
Marcantonio entrò subito in politica, facendosi carico delle problematiche del quartiere, suo collegio elettorale. Nel giro di pochi decenni, fino alla morte improvvisa che lo sorprese nel 1954 all’età di 52 anni, fu ripetutamente membro del Congresso americano a Washington. Nella 116ma strada aveva il suo ufficio elettorale, dove riceveva chiunque avesse una necessità o un problema da risolvere. In questo modo si conquistò la fiducia della popolazione che andava a votare con percentuali fino al 90%. Marcantonio potremmo definirlo oggi un “socialista progressista”.
In epoca di caccia alle streghe fu anche considerato un comunista, appartenenza che non fu mai la sua, anche se su molte questioni si alleò con i comunisti stessi. La sua abilità politica gli consentì di candidarsi in cinque diversi partiti e addirittura di vincere – nella stessa tornata elettorale – le primarie sia del partito democratico che di quello repubblicano.
Nel 2017 la città di New York gli ha intitolato un incrocio di Harlem, il suo “lucky corner” tra la Lexington Avenue e la 116ma strada, nel luogo dove teneva i comizi conclusivi.
Al momento della morte per infarto gli trovarono in tasca un rosario e un crocifisso. Ciò non fu sufficiente a garantirgli un funerale cattolico, negatogli dalla chiesa di New York per le sue presunte simpatie comuniste. Ne parlò in quella occasione Dorothy Day – anch’essa ricordata nell’imminente Meeting – leader del movimento del Catholic Worker; criticando questa posizione, ella fece un ironico parallelo con le storie di don Camillo e Peppone di Guareschi – allora già famose anche a New York -, evidentemente non comprese dall’establishment ecclesiastico. Per lei Marcantonio aveva semplicemente messo in pratica le opere di misericordia annunciate da Cristo.