La storia o, piuttosto, chi scrive di storia quando si trova di fronte a personaggi “emblematici” spesso portato enfatizza le figure e ne esalta i tratti così da offrire immagini che, nella più parte dei casi, non corrispondono alla realtà.
Inoltre, le falsificazioni storiche sono, poi, argomento caldo con il quale il lavoro di ricerca si confronta giornalmente.
Nel caso di Costanza d’Altavilla, imperatrice del sacro romano impero e regina di Sicilia, che visse nella difficile stagione del tramonto dell’idea imperiale, ad accrescere l’equivoco ci si cono messi anche i cronisti, divisi in fazioni ben definite, e grandi poeti e letterati a cominciare dal sommo Dante Aligheri per arrivare a Giovanni Boccaccio.
Ognuno di questi autori capaci di influenzare la narrazione storica e di creare un mito da offrire all’immaginario collettivo ha contribuito a idealizzare il personaggio in questione per consegnarlo nella sua benevola o malevola deformazione alla storia.
“La gran Costanza”, come ce la tramanda l’autore della Divina Commedia, ad esempio ci viene descritta come una donna costretta a seguire un percorso di vita, in questo caso pubblica, che mai avrebbe voluto intraprendere, visto che le era stato “tolto con forza il velo” – nel senso che era stata strappata alla vita monastica alla quale si sarebbe voluta dedicare – e costretta ad un matrimonio non desiderato e, quindi, vittima in fin dei conti di quella che potremmo definire una sorta di “ragion di Stato”.
Certamente, un falso storico, fondato su una diceria che non ha riscontri documentali, che l’Aligheri avalla con l’autorevolezza del suo prestigio.
Ed ancora, l’imperatrice-regina che difende il suo legittimo diritto alla corona di Sicilia per eredità paterna, essendo essa figlia del normanno Ruggero II fondatore del Regno di Sicilia che, approfittando delle difficoltà del suo giovane marito (infatti lo sposo Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, era di dieci anni più giovane di lei), i baroni siciliani (dove per siciliani si intendono i meridionali) le vogliono sottrarre.
Anche in questo caso una rivisitazione che si giova di cronisti come, ad esempio, il poeta cortigiano Pietro da Eboli e che riesce a far bypassare le motivazioni reali, che stavano dietro quell’opposizione e che erano legittimamente fondate
E poi, la donna generosa e virtuosa, ad un tempo, contro un mondo fatto di congiure e dominato da avidi predatori. Anche questa una verità restaurata ad usum delphini, di cui fa le spese il generoso Tancredi d’Altavilla che difende, usque ad mortem, l’autonomia di un regno che l’impero vorrebbe, e ci sarebbe riuscito, fagocitare.
E qui arriviamo a quella che, cum grano salis, diciamo che potrebbe essere la più eclatante delle imposture e cioè la storia della maternità di Costanza.
Costanza, nella storia viene ricordata come la madre del grande Federico II di Hohenstaufen, l’imperatore che, agli occhi di una certa storiografia, sarebbe stato il generoso, e valoroso, difensore della laicità e l’indefesso combattente per la modernità.
Rinviando alla più recente bibliografia per discettare sulla veridicità di questi assunti, ci si riferisce al testo di David Abulafia e al saggio illuminante di Wolfgang Stűrner, una domanda viene oggi sempre più riproposta: Federico II è realmente il figlio della gran Costanza o è invece anche questa è una versione rielaborata della storia?
Affermare, in modo categorico, a ottocento anni dal fausto evento ed in mancanza di prove decisive, una verità inconfutabile sarebbe solo esercizio di somma presunzione ma, piuttosto, affidarsi al laico “dubbio” appare segno di saggezza.
E veniamo ai fatti.
Non è strano che la Nostra imperatrice-regina, che per dieci anni il marito Enrico non è riuscita ad ingravidare, a quarant’anni, quando nel tempo in cui visse le donne avevano da tempo abbandonato l’età fertile, sia rimasta incinta?
E poi, ancora, non è miracoloso che una donna al nono mese di gravidanza intraprenda un lunghissimo viaggio, nel pieno della stagione invernale, partendo da Haghenau, attraversando le Alpi per arrivare, dopo un viaggio disastrato, visti i mezzi d’allora, nella piccola Jesi, senza rischiare un aborto?
E perché, fin dalla nascita di colui che sarebbe passato alla storia come lo “stupor mundi”, circolavano voci su una falsa gravidanza indotta da particolari erbe?
E non finisce qui.
Qualcuno ha ricordato, a dimostrazione del fatto che Costanza avesse realmente partorito il figlio, la storia della tenda montata nella piazza di Jesi dove l’imperatrice si sarebbe sgravata al cospetto delle donne di Jesi.
Ebbene, come mai di questa storia, la cui eccezionalità avrebbe eccitato la curiosità dei cronisti, non c’è traccia alcuna in documenti coevi mentre la si trova riportata solo nella cronaca di Giovanni Villani a quasi cent’anni dall’evento?
Infine, non sembra abnorme il comportamento della imperatrice-regina che, dopo avere partorito il fanciullo, lo abbandona nelle braccia della duchessa di Spoleto e si reca nel sud per ragioni politiche così che, per due anni, il bimbo resta in mani estranee?
Anche se siamo in epoca medievale, non appare strano che una donna, finalmente gratificata della maternità si separi dal sospirato frutto del proprio seno?
Domande a cui è difficile dare una risposta ma che, come appare evidente, inducono molti dubbi per i quali rimandiamo alla lettura della nostra “Costanza d’Altavilla, biografia eretica di un’imperatrice”, ricostruzione di una vita emblematica, come fu quella di Costanza d’Altavilla, vissuta in un contesto fascinoso come lo è stato il tempo medioevale ingiustamente bollato, da una storiografia partigiana, come l’epoca dei “secoli bui”.
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