da Il Mattino del 7 Giugno
Ricostruire il segno d’appartenenza, l’ossatura socio-politica di una terra, passa inesorabilmente attraverso il compromesso o i compromessi storici messi in atto dai potenti di turno nel susseguirsi delle generazioni; patti tra uomini di egual potere che creano i diritti nel quale si inscrivono le sorti di un popolo. Il segno d’appartenenza si configura secondo una forma ben precisa che determina lo scenario, o potremmo dire il teatro, delle esperienze vissute dai singoli individui e dalle comunità che li ospitano. Una famiglia borghese meridionale, i Porro di Andria, scritto dal giornalista e saggista Riccardo Riccardi, (Rubbettino, pagg. 430, 19 euro) individua questo teatro delle forme e delle idee che emergono dal flusso dei rapporti di forza e di equilibrio tra volontà differenti. Un metodo d’indagine induttivo che inquadra, a partire dal XVIII secolo, il destino di una famiglia meridionale, i Porro di Andria appunto, simbolo par excellence dell’affermazione borghese. La ricostruzione genealogica ha come sua origine la figura di Giovanni Puorro, capostipite della famiglia di probabile provenienza napoletana. La cura dei dettagli è notevole, e la si evince dalla corposità delle note, composte da atti notarili, catasti onciari, da manoscritti della Biblioteca Comunale di Andria, dall’Archivio di Stato di Napoli, dai manuali di storia moderna. Che scandiscono, pagina dopo pagina, i ritmi della vita andriese e di quella meridionale in un arco di tempo che va dal 1724 al 1946.
L’indagine portata avanti da Riccardi non si limita ad individuare i successi, le scalate sociali e i litigi interni della dinastia Porro, poiché il punto d’approdo è la borghesia agraria e la sua modalità di autodeterminazione economico-politica. La risposta alla domanda «come si diventava borghesi?» è infatti il vero obiettivo del volume. Attraverso una molteplicità di temi come l’amore-patrimoniale, il valore della famiglia «utile per la conservazione del potere borghese», la dialettica dei poteri (feudali/borghese, borbonico/giacobino), poi il fascismo e la disoccupazione dilagante, è possibile tracciare una storia della borghesia agraria meridionale. Un lavoro che parte da lontano, dalle radici di una famiglia per arrivare al tragico episodio del 1946, l’eccidio delle sorelle Luisa e Carolina Porro «afferrate in via S. Mauro e trascinate attraverso l’androne del loro palazzo. L’odio di classe, covato e somatizzato da lungo tempo, esplodeva nel più focoso e malsano istinto animalesco. Furono lasciate cadaveri dinnanzi all’armeria Giannotti». I connotati politici, sociali ed economici, capaci di generare forme di potere ed annientare i portatori delle stesse, appartengono al «movimento organico del vivente». Così Riccardi restituisce al meridione una fisiologia storica, complessa e per certi versi inedita.
di Francesco Prudente
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