Per la mia rubrica “IL Personaggio” sono lieta di ospitare Corrado Ocone, filosofo e saggista, che ci parlerà del suo nuovo libro ‘Salute o libertà. Un dilemma storico-filosofico”, appena uscito per l’editore Rubbettino. .
Il volume prende spunto dalla pandemia da Covid-19 e propone un excursus storico di autori da: Machiavelli, Hobbes, Locke fino a Foucault.
D. Lei segue un excursus storico per parlare di libertà e salute. Perché queste due parole diventano un dilemma?
R. “Il libro nasce da due sentimenti: il disagio, prima di tutto, e poi l’insoddisfazione. Il disagio nasce da come è stata gestita la pandemia, l’emergenza da Covid. Già nel marzo dello scorso anno io maturavo l’idea di questo libro, perché avevo questo sentimento. Il primo disagio era dovuto al fatto che venivano calpestate, violate, soppresse e limitate, alcune libertà fondamentali. Senza entrare nel merito, ammesso che fosse necessario limitare e sopprimere queste libertà, ciò che mi meravigliava era che tutto questo fosse fatto senza una consapevolezza apparente, cioè senza che le autorità e i cittadini vivessero questo stato, necessitato o meno, con la dovuta drammaticità. Ad esempio, quando Churchill fa il discorso agli Inglesi promettendo lacrime e sangue perché si entra in guerra, gli dice che dovranno rinunciare a molte cose della vita quotidiana, è consapevole: lo fa con molto pathos e con quella che i latini chiamavano gravitas. Invece, da noi, si sono soppresse libertà fondamentali: circolazione, riunione, associazione. E non dimentichiamo l’annullamento del potere del Parlamento. Tutto questo è avvenuto nell’indifferenza sia da chi lo faceva sia da chi era costretto ad accettarlo.
Il secondo disagio nasceva dal modo in cui veniva gestita la comunicazione, sia quella istituzionale sia quella dei media. Con un linguaggio ossessivo, pervasivo, con l’uso di espressioni inquietanti come ‘evitare gli assembramenti’, ‘coprifuoco’, ‘distanziamento sociale’. In Francia, addirittura, non dicono lockdown ma confinamento. Quindi la modalità di comunicazione mi creava disagio, perché, trattava un po’ tutti come degli infanti, da una lato con le promesse tipo ‘torneremo a riabbracciarci’, dall’altro con le minacce del tipo ‘Se non farete così il virus…’
Superata questa prima fase, si è cominciato a parlare di ripartenza, ma che la ripartenza sia stata impostata nella logica assistenzialistica, statalistica, fatta di sussidi, con un odio per l’industria, per la proprietà privata (tutto ciò che non può piacere ad un liberale), era per me ulteriore occasione di disagio. Ovviamente, nel mio piccolo, sono intervenuto nel dibattito pubblico, ma mi rendevo conto che il problema non poteva limitarsi all’intervento pubblico fatto di interviste, articoli o appelli. In qualche modo la questione doveva essere approfondita e portata anche ad un livello speculativo, cioè filosofico. Accanto all’intervento pratico occorreva anche una riflessione filosofica: necessaria perché il virus ci aveva trovato spiazzati, ci siamo resi conto di non avere concetti per interpretarlo. Ho focalizzato anche questo problema che è specifico di chi si occupa di filosofia, cioè di portare al concetto, di fare una riflessione fondata su cosa chiamava in causa la pandemia. Questa riflessione è cominciata allora, ma non è conclusa oggi con il libro, continuerà per molto tempo visto che a tutti, in un modo o nell’altro, questa crisi ha cambiato un po’ la vita, le cose che facciamo e le categorie con cui pensiamo. Per una mia metodologia, tutti i problemi cerco di inquadrarli storicamente, allora ho ripercorso il problema dei rapporti tra sicurezza e libertà, intendendo prima di tutto la sicurezza fisica, in tutta l’età moderna da Hobbes fino Foucault.
Il rapporto tra salute e libertà ha sempre qualcosa di non detto o di rimosso, cioè la libertà dei moderni ha un fondo oscuro dove i suoi rapporti con la paura (paura del virus in questo caso) vengono neutralizzati con la democrazia. Non è così! La democrazia la occulta, perché la paura è ancestrale.
Prima la paura si risolveva con dei meccanismi di rassicurazione, ad esempio la religione, con la credenza in un dio che dava un senso al mondo. E se noi non ne capivamo il senso, comunque dovevamo crederci per fede. Venuta meno l’autorità della trascendenza, del divino, in età moderna, si ha che la libertà sia condizionata dalla paura, quindi che la libertà si fonda sulla paura. Ci siamo trasmessi l’illusione che con determinati accorgimenti avremmo vissuto sempre meglio: maggiori agi, malattie sempre più governabili, la tecnica che ci avrebbe permesso di fare tutto. Dunque, l’ottica progressista che occulta e che risolve qualsiasi cosa. E’ chiaro che quando il problema emerge, noi siamo confusi e spiazzati. Il mio invito è quello di riconsiderare il rapporto che ha la libertà con il suo fondo, dare meno sicurezza. Mi spiego meglio, facendo l’esempio della ginestra di Giacomo Leopardi. La ginestra è un fiore bellissimo, però era sorta alle falde del Vesuvio, di un vulcano che con le sue eruzioni all’improvviso poteva distruggerla. Così è la nostra civiltà, così è il liberalismo.
Il liberalismo non si afferma per sua forza e potenza, questa è l’illusione che hanno avuto molti liberali pensando che la libertà potesse vincere su tutto. Le cose non vanno così: la libertà, la civiltà, l’addomesticamento del potere, sono costruzioni fragilissime che un nonnulla può mettere in discussione, proprio come la ginestra di Leopardi che può essere distrutta dalle forze naturali.
E a noi cosa tocca? A noi tocca costruire la libertà sopra un fondo molto precario: come diceva Nietzsche, in un altro contesto, “noi dobbiamo costruire le nostre case sul Vesuvio’. In poche parole, non possiamo esimerci dal costruire sempre degli spazi nuovi per la libertà, ma dobbiamo essere consapevoli che il mondo è fragile e tutto quello che diamo per assodato, da un momento all’altro, può essere spazzato via”.
D. In riferimento alla libertà, il continuo uso di Dpcm da parte di Conte non è stato affatto liberale. Crede che Il Governo Draghi sia in continuità con il Governo Conte bis?
R. “Secondo me è troppo presto per dirlo, proprio di questo discutevo l’altro giorno con un amico, secondo il quale la Lega dovrebbe uscire dal Governo perché Draghi è in continuità con il predecessore. Il problema è impostato in modo diverso: il Presidente della Repubblica ha chiesto unità per risolvere una emergenza, come fosse dopo una guerra. Occorre ricostruire il Paese e dopo si ritornerà alla dialettica politica normale. Quindi, con questo spirito le forze che sono entrate a farvi parte, devono aderire a questo programma e Draghi deve essere bravo a non andare fuori da questo programma. E’ naturale che lo ius soli, ad esempio, divide. Quello di Draghi è un Governo che sacrifica i partiti perché non vedono attuarsi il proprio di programma, ma fa parte del gioco. Se Draghi non dovesse raggiungere l’obiettivo di far ripartire il Paese, di metterlo al sicuro, di ridargli un ruolo, è chiaro che avranno fallito tutti. E’ su questo che dovrà essere giudicato, non sul fatto che oggi scontenta me e domani scontenta te. Non credo che la Lega abbia accettato di entrare nel Governo per realizzare il suo programma, dunque il problema sostanzialmente è questo: riuscirà questo governo a mettere in salvo il Paese? Se non dovesse farlo e si dovesse scoprire che ci ha preso in giro, cioè che è un Governo di sinistra mascherato da Governo di tutti, allora sì che dovremmo trarne le conseguenze. Per ora, non si può giudicare Draghi sui singoli provvedimenti, ma lo si giudicherà poi sul compito per cui è nato il suo Governo, che palesemente il governo precedente non era in grado di porsi e di portare a termine”.
I cittadini sono ormai stanchi e non vedono l’ora di riavere una sana libertà.
Ringrazio Ocone per il prezioso contributo.
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