Se a settembre l’educazione civica tornerà nelle scuole è anche merito di Luciano Corradini. L’accademico cattolico, che è anche stato sottosegretario alla Pubblica Istruzione, si è battuto a lungo per ridare dignità alla grande intuizione di Aldo Moroche era poi diventata la cenerentola della scuola italiana. Ma ora, come racconta a Panorama, ha vinto la sua battaglia.
Se ne sentiva la mancanza. Per 70 anni, tra dimensione politica e prospettiva etica, l’educazione civica ha cercato di svolgere la fondamentale funzione di educazione «civile» dei cittadini. Fu Aldo Moro a introdurla, nel 1958, come insegnamento nelle scuole medie e superiori. Bastavano, si pensò, due ore al mese obbligatorie che il professore di storia avrebbe dedicato alla disciplina. Una bella sfida, per un’Italia che usciva dalla guerra e vedeva ancora lontano il suo sogno di rinascita strutturale e ideale. Dieci anni fa, quel nome all’apparenza datato mutò in Cittadinanza e Costituzione. Poi, di fatto, l’insegnamento scomparve dalle aule italiane. Ma il 5 settembre 2019 è entrata in vigore la legge che reintroduceva l’educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado. E il 22 giugno 2020, il Ministero dell’Istruzione ha emanato un decreto con cui rende note le LInee guida per l’insegnamento dell’educazione civica. Panorama parla di questo grande ritorno con Luciano Corradini, un’autorità della pedagogia nazionale che il prossimo 30 agosto soffierà sulle sue 85 candeline. Scintillanti come la sua lucidità di pensiero.
Professore, la notizia del ritorno dell’educazione civica la fa ringiovanire. «Direi che riaccende la speranza che l’impegno per far giungere buone idee nelle sedi istituzionali, frustrato per anni, non sia inutile. Un emendamento da me proposto è arrivato sul tavolo del Consiglio superiore della pubblica istruzione, e da questo proposto alla ministra Lucia Azzolina, che poi lo ha inserito a tempo di record nelle Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica da lei stessa varate. Glielo cito: “La Legge, ponendo a fondamento dell’educazione civica la conoscenza della Costituzione italiana, la riconosce non solo come norma cardine del nostro ordinamento, ma anche come criterio per identificare diritti, doveri, compiti, comportamenti personali e istituzionali”».
Bella soddisfazione dopo 40 anni di corse su e giù per i Palazzi e in giro per Italia ed Europa. «Esatto: 40 anni passati a inseguire fogli di carta, scritti per comunicare ai responsabili di turno il lavoro pluriennale di gruppi di studio ministeriali, fogli che sfuggivano sempre di mano, come l’assegno di Ridolini portato dal vento. Ora invece quell’emendamento si è dolcemente posato sulle Linee guida della Ministra Azzolina, che attribuisce al decreto sull’educazione civica un significato simbolico per la ripartenza della scuola a settembre».
Linee guida poco note ai più. «Non sono dibattute sui media e rese note al pubblico dei non addetti ai lavori perché gli aspetti logistico-organizzativi in funzione preventiva dei contagi virali, sicuramente urgenti, sembrano più importanti di quelli relativi all’educazione civica e costituzionale del curricolo scolastico. Ecco, allora, l’intuizione di Aldo Moro: per una volta i “padri fondatori” sono stati ascoltati».
Riappare ciò che scrisse, nel 1951, l’allora ministro della Pubblica istruzione Guido Gonella nella presentazione del disegno di legge sull’educazione civile, allora non approvata… «Quelle di Gonella appaiono, oggi, motivazioni quasi profetiche, se lette dopo la legge del 2019 che ha reintrodotto l’educazione civica. Nel 1951 Gonella osservò che “lo spirito democratico della Costituzione e la conoscenza della struttura stessa dello Stato democratico costituiscono elementi necessari per la formazione di una coscienza civile nazionale. L’educazione civile è, quindi, un supremo interesse della società democratica (…)”. Tema ripreso, come è noto, da Aldo Moro, nel 1958, all’epoca a capo del dicastero della Pubblica istruzione, grazie a un Dpr sui “Programmi per l’insegnamento dell’educazione civica negli istituti e scuole di istruzione secondaria e artistica”».
Un itinerario culturale, più che politico-legislativo. «Dopo diversi provvedimenti ministeriali per definire quest’area complessa di principi, comportamenti e documenti di valore etico, giuridico e politico, è accaduto una sorta di miracolo che, quanto meno, mette fine al silenzio imbarazzante delle forze politiche dell’ultimo decennio».
Nel sottotitolo del saggio da lei scritto con Andrea Porcarelli, suo collega a Padova, si parla di itinerari di educazione civica. «Per evitare, da un lato, la pretesa di programmi rigidi, e, dall’altro, il rischio di un vagabondaggio senza meta e senza guard rail, su tematiche controverse e di ampiezza variabile, il bisogno e la domanda di conoscenza e di formazione su quest’area fondativa sono diventati ancora più urgenti. La scuola non è onnipotente ma neppure impotente: è di fatto insostituibile, come gli ospedali in tempo di pandemie».
Sembra che spesso leggi nazionali e norme europee e internazionali si sovrappongano e che sia difficile armonizzarle. «La spina dorsale dell’intero curricolo scolastico si trova non solo nella Costituzione ma anche nella Dichiarazione universale dei diritti umani e nell’Agenda 2030 dell’Onu. Il giurista francese Réné Cassin, premio Nobel per la pace nel 1968, che contribuì a redigere, definì la Dichiarazione del 1948 come una “vigorosa protesta contro tirannide, barbarie, oppressione; un atto di fiducia nel destino dell’umanità, in un destino migliore della condizione passata e presente”. La nostra Costituzione è ancora più stringente, perché, pur essendo in parte modificabile, è affidata anche alla cura della Corte Costituzionale che giudica la conformità delle leggi ai principi della Carta».
Mi sembra di sentire l’eco dei suoi maestri… «Come dimenticare, tra gli altri, Giovanni Reale, Mauro Laeng, Oscar Luigi Scalfaro, Sergio Mattarella e Carlo Maria Martini?».
Caligiuri: «Si deve ad Aldo Moro quell’intuizione ancor oggi attualissima»
Ottocentocinquantuno chilometri in linea d’aria più a Sud, tra le colline di Arcavacata, alle porte di Cosenza, in quel campus universitario ideato negli anni Settanta sul modello di quelli americani, Panorama raggiunge anche Mario Caligiuri. Ordinario di Pedagogia della comunicazione all’Università della Calabria, Caligiuri dirige la collana Pedagogia anima mundi della Rubbettino Editore. E proprio con la casa editrice calabrese ha pubblicato il libro Aldo Moro e l’educazione civica. L’attualità di un’intuizione.
Professore, nel suo ultimo saggio lei ha recuperato la proposta di un indimenticato statista. «Come aveva intuito Aldo Moro, l’educazione civica rappresenta un’occasione per innovare i processi educativi nella scuola italiana, riportando la persona al centro del processo educativo. L’educazione civica oggi è diventata materia obbligatoria e, se questo risultato è stato raggiunto, lo dobbiamo alla sua figura carismatica».
Non è che la scelta ministeriale sia frutto dell’impressione emotiva del periodo pandemico che stiamo vivendo? «Nell’assoluta incertezza di quanto capiterà nei prossimi mesi, è stato sistemato un sassolino, che però potrebbe servire per correggere la rotta: dopo alterne vicende e solo con un anno di ritardo, questa disciplina è diventata obbligatoria ed è soggetta anche a un voto di valutazione, come l’italiano o la matematica».
Sembra che le aree di intervento siano ridotte a tre. «Sì: studio della Costituzione, sviluppo sostenibile e cittadinanza digitale. A mio avviso sono ancora troppe. Come ho sostenuto nel volume, questa materia, invece di essere dispersa in mille inutili rivoli, andrebbe concentrata esclusivamente sugli effetti della disinformazione che rappresenta, a mio modo di vedere, l’emergenza educativa e democratica di questo tempo, come la vicenda del coronavirus ha clamorosamente confermato».
Cosa si può fare per rendere efficace la reintroduzione della materia? «Il primo consiglio è di assicurare adeguate misure a supporto di dirigenti e docenti, con linee-guida nazionali, almeno per evitare che la sciagurata autonomia scolastica produca effetti creativi che determinano in larga misura la nullità delle intenzioni. Una massiccia azione di orientamento e di formazione specifica potrebbe produrre qualche utilità».
E il secondo consiglio? «Per Moro stesso, l’educazione civica doveva rappresentare un grimaldello per aggiornare i processi educativi nella scuola e nell’università. Istituzioni che continuano a riproporre professioni superate e che sono già travolte dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale. In soldoni: l’educazione civica come opportunità di cambiamento educativo».
Non le pare di correre un po’ troppo? «Questa dovrebbe essere la direzione giusta ma, intanto, si continua a parlare di sistemazione dei precari, di centimetri delle distanze dei banchi e di varie amenità. Evitando, con estrema cura, da quasi mezzo secolo, di intervenire sui nodi strutturali che sono certamente difficili, ma che in realtà rappresentano gli unici che potrebbero consentire di andare oltre la manutenzione del dolore dell’istruzione».
Il contesto politico e quello sociale si confrontano… «Ogni momento storico produce un modello educativo e oggi, a mio avviso, stiamo scontando le conseguenze educative del “facilismo amorale” prodotto dal Sessantotto. L’insegnamento dell’educazione civica vide la luce in un contesto ideologico in cui i pedagogisti cattolici, liberali e marxisti si confrontarono su educazione popolare e l’alfabetizzazione sociale. E proprio in quel contesto venne a collocarsi l’intuizione dell’educazione civica, non a caso associata all’insegnamento della storia».
La lungimiranza di Moro appare visionaria. «Il fondamento dell’educazione civica è di fornire la consapevolezza che la dignità, la libertà e la sicurezza non sono beni gratuiti come l’aria, ma conquistati. Eppure, né la contestazione giovanile del Sessantotto né i Decreti delegati del 1974, con cui si introdussero organismi di partecipazione, tennero in considerazione questa disciplina. A proposito di uomini di scuola “profetici”, mi piace ricordare don Lorenzo Milani e la sua Lettera a una professoressa, in cui accusava gli insegnanti di non occuparsi di educazione civica poichè “avevano in onore più la grammatica che la Costituzione”».
Chi è Luciano Corradini
Luciano Corradini
Reggiano di nascita, dopo gli studi in Filosofia alla Cattolica di Milano con due autentici maestri quali Sofia Vanni Rovighi e Gustavo Bontadini, Luciano Corradini ha insegnato in diverse scuole secondarie, per tre anni anche storia ed educazione civica. Successivamente, dopo incarichi all’Università della Calabria e alla Cattolica di Brescia, è diventato Ordinario di Pedagogia alla Statale di Milano, poi alla Sapienza di Roma e infine alla Facoltà di Scienze della formazione di Roma Tre, nella quale ora è professore Emerito di Pedagogia generale.
È stato presidente dell’Irrsae, l’Istituto di ricerca regionale, di sperimentazione e aggiornamento educativo) della Lombardia, vice Presidente del Consiglio nazionale della pubblica istruzione e sottosegretario alla Pubblica istruzione nel governo Dini (1995-1996). Ma il pedagogista è stato anche presidente dell’Irsef, l’Istituto di ricerca e studi sull’educazione e la famiglia (1993-1999) e dell’Ardep, l’Associazione per la riduzione del debito pubblico (1993-2007).
Fra il 1997 e il 2006 ha anche presieduto l’Uciim, l’Unione cattolica italiana insegnanti medi e fra il 1999 e il 2008 l’Aidu, l’Associazione italiana docenti universitari. Da Brescia, sua città di adozione, Corradini continua a lavorare in vario modo per ripensare, anticipare e supportare le iniziative istituzionali a cui si è dedicato negli ultimi 30 anni.
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