Verso un'economia umana
a cura di Dario Antiseri e Flavio Felice
Da Il Foglio del 22 aprile
La crisi greca che si trascina da anni potrebbe avere una soluzione migliore se l’Unione europea avesse seguito i precetti di Wilhelm Röpke (1899-1966) contenuti nel libro “Al di là dell’offerta e della domanda” (edito in Italia da Rubbettino). E non ci sarebbe stato nessun “caso”, già in origine, se la Grecia avesse seguito quei precetti prima (o almeno durante) e dopo la crisi del 2008. Perciò è utile tornarci su nei giorni in cui la crisi di liquidità di Atene preoccupa sempre più i mercati: ieri, mentre fonti comunitarie riferivano che “un accordo complessivo fra Grecia e creditori entro fine aprile è estremamente difficile”, non a caso il rendimento dei buoni ellenici decennali è salito al 13,62 per cento, il massimo dal dicembre 2012.
Potrebbe sembrare strano che un economista liberale del Novecento come Röpke, tra i padri dell’economia sociale di mercato, fautore della concorrenza microeconomica e per di più anti keynesiano abbia scritto un libro intitolato “Al di là dell’offerta e della domanda”. Le due curve di domanda e di offerta sono gli strumenti elementari dell’economia di mercato di concorrenza. Può sembrare ancora più strano che questo libro, scritto nel 1958, con riferimento ai problemi di allora ma estremamente attuale per l’Unione europea e fin dagli anni Ottanta quando fu varato l’Atto Unico, compaia in Italia solo ora. Per la seconda stranezza la colpa è del Cynar, il liquore a base di estratti di carciofo che fece la fortuna di Angelo Dalle Molle, un geniale industriale liberale, che lo aveva inventato e lanciato nel 1952 con lo slogan “contro il logorio della vita moderna”. Diventato ricco, aveva fondato a Varese la rivista Edizioni di Via Aperta e l’omonima casa editrice, in cui aveva pubblicato, fra gli altri, nel 1959, un’antologia di scritti sul pensiero liberale di Luigi Einaudi dal titolo “Il Maestro dell’economia di domani” e nel 1965 proprio questo libro di Röpke. Poi era passato ad altri interessi culturali: auto elettrica, piante medicinali, intelligenza artificiale. La casa editrice di Dalle Molle era successivamente scomparsa, era quindi difficile capire chi avesse i diritti di autore di questo saggio che Rubbettino ha fatto riemergere in un momento cruciale per l’Eurozona.
Per il titolo, che sembra contraddire la metodologia di Röpke, mi guidano i curatori del testo Dario Antiseri e Flavio Felice che hanno aggiunto il sottotitolo “verso una economia umana” per indicare una concezione del sistema di mercato di concorrenza, basato sulla persona umana, dotata di diritti di libertà personali, civili, politiche ed economiche, di proprietà e contratto e connesse responsabilità. Se le varie libertà sono legate fra loro, come attributo della persona, ciò implica anche che nella società non ci sono solo le leggi del mercato e dell’utilità come tornaconto, ma anche altre regole di natura etica che derivano da queste altre dimensioni umane, con cui i fattori economici sono interdipendenti.
Röpke, nella terza sezione del Libro riguardante i presupposti e i limiti del mercato, definisce l’economia di mercato come un ordinamento economico che presuppone un mondo etico-sociale che si può definire come “borghese” e che ha alcuni principi fondamentali: l’iniziativa individuale, il senso di responsabilità, l’indipendenza ancorata alla proprietà, l’equilibrio e l’audacia, il calcolo e il risparmio, l’organizzazione individuale della vita. Ancora: l’inserimento nella comunità, il sentimento della famiglia, della tradizione e della continuità storica, e in più menti aperte alla realtà presente e all’avvenire, il coraggio di affrontare virilmente i rischi della vita e una solida gerarchia dei valori. Poi aggiunge: “Venti scellini di reddito e venti di spesa; risultato: miseria e dolore. Venti scellini di reddito e diciannove di spesa; risultato: benessere e felicità”. Dunque, se la Grecia avesse seguito questa ricetta non ci sarebbe stata la sua crisi. Se gli eurocrati nel formulare la terapia per la cri i greca avessero riletto Röpke, e i politici greci avessero fatto altrettanto, non saremmo al punto in cui siamo. Per Röpke “il clima etico della vita economica fondata sull’economia di mercato è tiepido”, privo di grandi passioni e di grandi vizi. E cita Montesquieu che aveva sostenuto che “l’esprit de commerce” del sistema di mercato crea nell’uomo un certo senso di giustizia e di pace. Fra queste virtù, che sono a fondamento dei rapporti internazionali, c’è la regola “pacta sunt servanda” (vedi, a proposito di patti, quello di Maastricht). Queste virtù borghesi non vanno derise, com’è stato fatto dai marxisti, né vanno considerate arretrate, inadeguate, come usano fare gli intellettuali tecnocratici. In ogni caso, scrive Röpke, per evitare che la concorrenza sia falsata, degeneri, sia sopraffatta dai cartelli e dai poteri politici “è necessario che ci siano valori etici più elevati ai quali fare appello (…). Il prosaico mondo del commercio attinge a riserve morali e con loro vive e decade. Esse sono più importanti di tutte le leggi economiche e di tutti i principi di economia politica (…). Il mercato, la concorrenza, il gioco dell’offerta e della domanda non generano queste riserve morali ma le presuppongono e le usano”. Si potrebbe osservare che l’autore nel suo “oltrismo” qui va oltre la propria tesi della interdipendenza, esposta nelle pagine precedenti. Dice appunto: “Quale irriverente ignoranza nel sottovalutare tutto il lavoro, l’abnegazione, la dedizione, lo spirito pionieristico, l’onestà, la rettitudine, la fedeltà, con cui viene compiuto un dovere da cui dipende l’esistenza elementare della popolazione del mondo!”. Qui non c’è un “prima e un poi” fra valori economici ed etici. Inoltre, come si nota, non si tratta solo di etica; c’è anche – a essa mescolata – una concezione di come affrontare la realtà, con spirito innovativo, ma nella prospettiva di una conoscenza incerta, una razionalità limitata, che comportano prudenza e previdenza.
Non tutto quello che Röpke scriveva nel libro è ancora attuale. Non lo è la preoccupazione per l’esplosione demografica; ora c’è il problema opposto. Non c’è, come rischio di insolvenza finanziaria globale, quello dell’eccesso di debiti per le vendite a rate, perché la crisi del 2008 è scoppiata per i derivati dei mutui immobiliari. Ciò ha creato un’inflazione a cui è seguita la recessione. Ma non è vero che i governi propendono sistematicamente per l’inflazione e mai per il suo opposto. Quelli che hanno determinato la politica europea dopo la crisi hanno dato origine a una nuova deflazione. E’ stata la Banca centrale europea – non un governo europeo peraltro inesistente – a contrastarla per ottenere stabilità monetaria. Ma è tragicamente vero che lo stato assistenziale ha superato gli argini e ha prodotto un sistema fiscale troppo pesante. E’ vero che il “centrismo” sindacale con l’organizzazione gerarchica verticale impedisce lo sviluppo del salario basato sulla produttività, che si realizza con il “decentrismo”.
Questo testamento intellettuale di Röpke si conclude con un messaggio pessimista: “La nostra civiltà centrista si è sempre più allontanata dalla natura umana e non sappiamo se così potrà durare a lungo”. Ma sono passati quasi sessant’anni, siamo in un nuovo secolo, le cose finora sono andate molto meglio di quel che Röpke abbia temuto. Lui comunque critica l’economocrazia, secondo cui tutto ciò che riguarda l’uomo è calcolabile. E ciò ci basta per argomentare che sarebbe meglio, per i politici italiani e per chi li consiglia, adottare i suggerimenti di Röpke.
di Francesco Forte
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