Come si comanda il mondo. Ovvero: il racconto politico della razza padrona (indygesto.it)

di Redazione, del 7 Gennaio 2018

I complotti non esistono. Lo aveva detto Umberto Eco più volte, da ultimo nel suo classico Il Cimitero di Praga. O, meglio: non possono essere provati, anche se per i complottisti l’assenza di prove certe è già una prova a favore del complotto.

Detto questo, è vero: la ristretta élite che comanda il mondo esiste e tanto più comanda quanto più è ristretta. Non solo: questa élite è anche difficilmente controllabile. Di più: è praticamente impossibile da controllare con i metodi democratici. Smaccatamente verticistica nella sua composizione, questa classe dirigente si autoseleziona attraverso la cooptazione e, al massimo, ricorre alle congiure – che invece esistono, eccome e, soprattutto, possono essere provate – per gestire le proprie dinamiche interne o i rapporti con altri gruppi di potere. Ancora: questa élite, che rischia di diventare una razza padrona vera e propria, proprio perché non complotta ma (al massimo) congiura, non è invisibile. Basta saperla cercare: niente templi massonici fantasiosamente decorati, niente rabbini intenti a riunirsi nei cimiteri nottetempo, niente sette di esaltati da film fantahorror anni ’70-’80. Niente di tutto questo. E se qualcosina c’entra è per caso. Semmai, i più curiosi e quelli che vogliono un bersaglio (si spera simbolico) per i propri malumori, possono cercare più utilmente nelle sale ovattate, al limite della asetticità, in cui si svolgono le riunioni dei cda di certe multinazionali, nei caveau di certe banche d’affari e ai piani alti, anzi elevatissimi, di certe università. Basta sapere cercare: chi comanda, da circa quarant’anni a questa parte, lo fa perché gestisce le dinamiche dell’economia mondiale. E lo fa mettendoci la faccia e la firma, dietro, ovviamente, il comodo paravento di sofisticati sistemi societari. La lista dei potenti c’è. Lo affermano Giorgio Galli, il decano dei politologi italiani e studioso di frontiera e Mario Caligiuri, docente universitario e direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, che al delicatissimo argomento delle lobby di potere hanno dedicato il loro, recentissimo Come si comanda il mondo. Teorie, volti e intrecci (Rubbettino, Soveria Mannelli 2017). Ma qual è la differenza tra questo volume e l’abbondante letteratura, soprattutto giornalistica, dedicata alle lobby di potere, di cui il catalogo editoriale di Newton&Compton offre un esempio più che esaustivo, a partire dai titoli urlati stile tabloid?

Una prima differenza consiste nella credibilità degli autori.

Galli, pur essendosi fatto conoscere dal pubblico come politologo e storico della politica, si è affermato anche in quella delicatissima nicchia, quasi una nuova frontiera finora poco esplorata, costituita dai rapporti tra politica e culture esoteriche. A tacere dei lavori dedicati negli ultimi anni proprio al problema delle lobby, tra cui si segnalano Il golpe invisibile (Kaos Edizioni, Milano 2015) e Scacco alla Superclass (Mimesis, Milano 2016), scritto a quattro mani col giurista Francesco Bochicchio. Caligiuri, dato il suo settore particolare di ricerca, l’intelligence, a cui ha dedicato numerosi volumi, risulta più che qualificato nello studio dell’argomento. La seconda differenza è nel taglio del libro: Come si comanda il mondo è sensazionalistico solo nel titolo. Il resto è tutto pepe e midollo, a partire dallo stile asciutto e dalla linearità dei ragionamenti. Detto altrimenti, Galli e Caligiuri tentano – diciamolo subito: in maniera convincente – di dimostrare su fondamenta scientifiche, che la potentissima élite finanziaria esiste, condiziona non poco tutti gli altri settori della vita civile e, se non controllata, rischia di diventare un pericolo non solo per la democrazia (che è già messa a repentaglio da minacce molteplici), ma per quelle stesse libertà, soprattutto economiche, su cui si fonda la civiltà occidentale e da cui ha tratto origine il capitalismo stesso, industriale prima e turbo ora. Come sono arrivati i due studiosi a questa conclusione? Nella maniera più semplice, anche magari ispirandosi al metodo di Monsieur Dupin, l’investigatore creato da Edgar Allan Poe, che sosteneva che la verità è sempre sotto i nostri occhi: sono partiti, essenzialmente, dall’analisi di The Network of Global Corporate Control redatto da Stefania Vitali, James B. Glattfelder e Stefano Battiston per l’Università di Zurigo. I dati di questo studio, che riguardano essenzialmente le prime 50 multinazionali del mondo, sono il punto di partenza di cui Caligiuri, in particolare,si serve per incrociare altri elementi: la composizione dei cda delle corporation, le carriere e le biografie dei loro vertici. I risultati, esposti nelle tabelle allegate in appendice, sono impressionanti: poco più di un centinaio di persone è in grado di determinare le sorti del pianeta. Molti di essi, spesso, sono dei perfetti mister x: a volte, il più delle volte, non appaiono nemmeno nelle ribalte mediatiche ed è difficilissimo anche sapere qualcosa su di essi attraverso Google (che, tuttavia, è una delle multinazionali più potenti, grazie alle dinamiche particolari e sfuggenti della New Economy). Si prenda il caso di James Stanley: è impossibile o difficilissimo trovare una sua foto in rete e tutto quel che si riesce a sapere, dopo varie e non semplici ricerche, è che è un pezzo grosso della finanza che conta. Stanley è il primo dei 65 big censiti dai tre ricercatori svizzeri: è attualmente l’amministratore delegato del gruppo Barclays, dirige la Robin Hood Foundation ed è stato ai vertici di Jp Morgan Chase&Co. Il suo potere decisionale si quantifica in miliardi, eppure per i più è un anonimo. Tra i vari potentati finanziari censiti dai tre studiosi si possono citare Vanguard e Black Rock. Per i più sono delle finanziarie. Per gli addetti ai lavori, invece, sono gruppi di potere di prima grandezza: posseggono pacchetti azionari determinanti (o, peggio, di controllo) nei media più influenti a livello globale e sono in grado di decidere i destini delle economie di molte nazioni, grazie al loro ruolo determinante nelle agenzie di rating (ricorda qualcosa Standars&Poors?). A questo punto occorre ribadire un dato importante, per avere la misura dell’originalità del libro di Galli e Caligiuri: laddove i tre ricercatori svizzeri si mantengono sul piano delle scienze sociali, economia e sociologia, i due studiosi italiani declinano i risultati della ricerca di Zurigo sul piano politico. Anche in una maniera piuttosto semplice: ripartendo dai classici novecenteschi del pensiero politico italiano, cioè da Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Robert Michels, i tre padri della teoria dell’élite. È chiaro che Galli e Caligiuri (e se non lo facessero, il loro non sarebbe un discorso scientifico) interpretano l’élite in chiave paretiana: cioè prendono atto dell’esistenza, in tutte le società, di una minoranza che, a vario titolo, detiene il potere, in esclusiva oppure in accordo con altri settori della stessa società dominata o governata. Che il dominio di questa classe dirigente, che in alcuni momenti storici è stata anche una razza padrona vera e propria (si pensi agli spartiati nel Peloponneso o ai romani nel mondo mediterraneo all’epoca di Cristo) sia giusto e legittimo a livello etico non conta, per lo studioso che si basi sui parametri moschiani-paretiani: ciò che importa è che questa classe ci sia, perché allo studioso importa conoscerla più che contrastarla. Altra cosa è limitarne il potere, prima che tracimi e diventi distruttivo ed autodistruttivo. Che è poi il succo, se si vuole la morale, di Come si comanda il mondo, in cui i due autori accennano a una possibile alternativa al prepotere dell’economia finanziaria: l’elezione su base democratica dei vertici delle principali multinazionali. Già: la ricerca dei due studiosi è a tutto campo e viviseziona la composizione di questa élite nei minimi dettagli, anche sulla base degli studi di Rothkopf, al quale si deve l’invenzione del termine superclass: dalla culla alla tomba, dalle università frequentate ai club più o meno esclusivi (la Trilateral Commission e il Bilderberg). Ed è un metodo che paga, visto che consente scoperte decisamente importanti, che spesso vanno oltre i risultati di tanta letteratura più o meno dietrologica. Una di queste riguarda la poliedricità di molti leader del turbocapitalismo, in grado di sedere contemporaneamente nei cda di molte società – anche, almeno sulla carta, concorrenti tra loro – e di rivestire, a più riprese ruoli pubblici. E, a proposito di interferenze nella politica, si pensi a quel che è successo nelle ultime Presidenziali Usa, in cui le stesse società hanno finanziato, in diversa misura, le campagne elettorali di Trump e della Clinton. C’è da dire altro? In realtà ci sarebbe tantissimo da aggiungere perché Come si comanda il mondo è solo, per ammissione degli stessi autori, un punto di partenza. È un libro che ne contiene, potenzialmente, molti altri. L’economia, come diceva Carl Schmitt, è diventata qualcosa di politico. Ma in un senso del tutto diverso da quel che intendeva il grandissimo pensatore tedesco, che si riferiva al boom dei movimenti comunisti. È diventata politica perché usurpa funzioni pubbliche che non dovrebbero appartenerle. Galli e Caligiuri hanno iniziato a portare sul terreno accademico l’indagine di questa usurpazione. Non resta che seguirli e, per chi se la sente, continuare su questo tracciato.

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