Come si comanda il mondo (archiviostorico.info)

di Redazione, del 9 Febbraio 2018

IL LIBRO – Di fronte al disordine mondiale scaturito dalla caduta del muro di Berlino e dagli attentati dell’11 settembre 2001, ci si chiede con sempre maggiore insistenza chi comandi il mondo. Nonostante i contributi sempre più numerosi, manca finora una visione d’insieme che unisca gli indispensabili presupposti teorici con gli inevitabili effetti pratici, in modo da individuare relazioni e intrecci, che il più delle volte sono davanti agli occhi di tutti. Con un approccio scientifico, gli autori si interrogano su questo tema, riunendo fili dispersi per creare un originale quadro di insieme. Emerge che le persone che influenzano le sorti del pianeta non sono le classi politiche che appaiono sugli schermi televisivi e contro cui si indirizza la protesta, ma i manager delle multinazionali che operano nel mercato globale. Il potere non è impersonale oppure determinato dalle selezioni di un algoritmo ma il nostro destino è deciso da nomi e volti ben individuabili. Il loro controllo è il problema decisivo della democrazia nel XXI secolo. Il volume si articola in due parti, separate nell’approccio e nei contenuti ma convergenti nel metodo e nei risultati. Nella prima sono trattati tre temi: la necessaria rivisitazione del ruolo delle élite (con particolare riferimento alle dinastie nordamericane che sono presenti in modo capillare nelle maggiori economie mondiali), il ruolo dell’Italia nella società globalizzata e una proposta concreta, ovvero l’elezione a suffragio universale di parte dei componenti i consigli di amministrazione delle grandi imprese. Secondo questa prospettiva, la capitale mondiale non è New York, Pechino, Mosca o Londra, ma Davos, dove si riunisce annualmente il World Economie Forum. In uno scenario del genere, sono assai significative le multiposizioni di potere. In questa parte del libro vengono esaminate le numerose e vaste interconnessioni all’interno del sistema economico e tra questo e le istituzioni politiche. In Italia, addirittura il 62% delle imprese quotate in borsa possiede azioni delle banche, con conseguenze inevitabili. Così come si evidenzia che sono 155 i nomi che si ripetono nelle aziende più significative del nostro Paese. Tra questi, per esempio, la sola famiglia Ligresti nel 2010 esprimeva 64 cariche, mentre l’economista francese Jean-Paul Fitoussi ne ricopriva 16. Nella ricostruzione, si intrecciano quindi cronaca e storia, nomi e cognomi: dal presidente dell’ENI Enrico Mattei all’ex rettore dell’Università Bocconi di Milano Roberto Ruozi, sconosciuto ai più sebbene ricopra 42 cariche nell’attuale sistema economico nazionale. Nella seconda parte, ampliando uno studio del Politecnico di Zurigo, vengono individuate persone e relazioni che potrebbero rappresentare la base di comprensione dell’economia mondiale, identificando un possibile nocciolo duro del sistema finanziario globale. Poiché il punto di osservazione degli Autori è quello delle élite, sono stati selezionati i presidenti e gli amministratori delegati delle 50 società della ricerca svizzera giungendo a individuare 65 persone. Dopo un ulteriore approfondimento, viene anche ipotizzato quale fosse la roccia sulla quale potrebbe poggiare il sistema e cioè la società di investimento americana BlackRock: sarebbe questa la materializzazione della Spectre dei film di James Bond? Le evidenze della ricerca fanno emergere le relazioni finanziarie come chiave di lettura, più che l’oscura azione di vere o fantomatiche organizzazioni, dalla Trilateral al Gruppo Bilderberg, dalla Skull and Bones alle Ur-Lodges. Partendo dallo studio del Politecnico di Zurigo, vengono analizzati gli incroci delle società finanziarie e di chi le rappresenta con i media e le università più influenti, così come con le agenzie di rating e i colossi del web. Ponendo attenzione a quanto emerge da urticanti casi di cronaca, come WikiLeaks e Panama Papers, e dalle relazioni con la criminalità organizzata, emerge un reticolo di interessi che, ben lontano dall’essere occultato, è davanti agli occhi di tutti. E forse proprio per questo, come «La lettera rubata» del racconto di Edgar Allan Poe, è sempre così difficile da cogliere.

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