Intervista al prof. Cristin: i liberalconservatori correggano lo scompenso, non si può calpestare la libertà in pandemia e difendere in modo credibile quella ucraina, o viceversa
I contenuti del suo ultimo libro, “Quadrante Occidentale” (Rubbettino), la crisi di legittimità e identità dell’Occidente, la necessità di costruire una dottrina politica liberalconservatrice anche in Italia. Di questo e altro abbiamo parlato con il professor Renato Cristin, Università di Trieste.
Crisi di identità
TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Nel suo testo denuncia ed affronta la crisi di legittimità, valori ed identità dell’Occidente. Cosa determina la nostra volontà di “autoflagellazione” culturale e politica?
Sotto attacco esterno e interno
La nostra civiltà è oggi sotto accusa e sotto attacco, sia da forze esterne come Cina e Russia, come pure da buona parte del mondo islamico, sia dai gruppi ideologici militanti (la sinistra nelle sue varie forme) interni all’Occidente stesso, ma questi attacchi sono resi possibili anche a causa di un indebolimento progressivo della nostra identità tradizionale, che le leadership culturali e politiche vedono più come un peso che come un pregio.
E proprio perché questa patologia è causata da quel lavaggio del cervello che la cultura sessantottina, in tutte le sue varianti e implicazioni, ha sistematicamente imposto all’opinione pubblica occidentale, si conferma la tesi che la legittimità istituzionale e statale si acquisisce e si conserva solo nella coerenza con la propria tradizione e la propria identità.
TADF: La colpevolizzazione delle nostre società liberali avviene anche nel mondo dell’istruzione. È un settore in cui bisognerebbe impegnarsi per produrre un cambio di pensiero? Se sì, come?
RC: Nel quadro patologico degenerativo appena indicato, vediamo che l’Occidente ha perduto pure il senso originario dell’istruzione, perché da quasi un secolo ormai ha demandato questo compito a insegnanti che, da un lato, miravano alla decostruzione e quindi alla deformazione e, infine, alla deculturazione della civiltà occidentale, e dall’altro lato diventavano essi stessi, con il passare delle generazioni, sempre più ignoranti e incapaci.
Questo coacervo di neomarxisti, postmodernisti, pragmatisti, positivisti, nihilisti, terzomondisti etc. ha oggi in mano il sistema educativo (come pure quello dei media e dello spettacolo).
È ovvio che un movimento liberalconservatore debba impegnarsi prioritariamente in questo ambito fondamentale. È un paradosso infatti che i detrattori della tradizione siano gli insegnanti istituzionalizzati della gioventù occidentale. È come dare alla volpe la custodia del pollaio. Un paradosso.
La coincidenza fra il nome e la cosa
TADF: Cosa intende quando scrive di necessità di riarmonizzare “il nome Occidente con la cosa Occidente”? In che modo sarà possibile raggiungere questo obiettivo?
RC: La crisi di legittimità di cui si diceva, si riflette anche sul piano semantico. Oggi diciamo Occidente ma in realtà indichiamo, purtroppo, qualcosa di diverso da ciò che l’Occidente è storicamente e concettualmente.
L’identità occidentale non corrisponde al dato attuale, e il rischio è che questa deformazione si dilati al punto da formare, con il tempo, un nuovo profilo che non solo non coincida più con l’essenza dell’Occidente, ma che sia una non-identità, che cioè l’Occidente diventi un contenitore neutro, riempibile a seconda dei casi e degli orientamenti.
Sintetizzando all’estremo (e quindi tralasciando altri aspetti e concetti altrettanto importanti), ciò che occorre è ripristinare, rafforzare e conservare il concetto di libertà, facendo davvero corrispondere il nome libertà con la cosa libertà, la definizione con la realizzazione, l’idea con la sua, sempre aggiornata, applicazione. Altrimenti l’Occidente smetterà di essere se stesso, e il mondo sarà totalmente altro.
Due banchi di prova
TADF: In “Quadrante Occidentale” si sofferma sulla necessità di creare e fortificare una dottrina politica al tempo stesso liberale e conservatrice. Come sarà possibile farlo anche in Italia?
RC: E qui allora possiamo mettere alla prova il concetto di libertà. Abbiamo due banchi di prova recenti: la pandemia e la guerra in Ucraina.
Nella prima circostanza, il movimento liberalconservatore ha in gran parte assunto un orientamento illiberale tipico dei regimi comunisti (vaccinazione forzata, statalismo burocratico, ricatti psicologici e lavorativi, controllo ossessivo delle persone, parlare a nome della scienza in realtà propagando solo le tesi e gli interessi della cordata scientifica dominante, diffusione di notizie quasi esclusivamente governative, alimentazione della paura come strumento di coercizione, e altro ancora). Ecco, i liberalconservatori devono fare esattamente l’opposto.
Nel caso della guerra in Ucraina, essi difendono giustamente la libertà di un popolo contro l’invasore russo, e si schierano dall’unica parte possibile, in coerenza con i propri princìpi.
Così emerge uno scompenso, che d’ora in poi i liberalconservatori devono assolutamente colmare, pena la perdita della loro stessa identità: non si può calpestare la libertà personale con la gestione della pandemia e pretendere di essere credibili difendendo quella nazionale nella guerra in Ucraina.
Questa contraddizione, che non avrebbe nemmeno dovuto sorgere, va risolta senza indugi, oggi e in futuro: la libertà va protetta e garantita sempre.
L’illusione della terapia eurasiatica
TADF: La nuova Guerra Fredda che dividerà il mondo tra il blocco democratico e quello autocratico può rappresentare un’opportunità per fortificare le nostre società e recuperare i nostri valori?
RC: Direi di sì. In generale, può sembrare inquietante (e anche blasfemo) considerare una guerra come un’opportunità, ma talvolta, e come lei dice, può essere così, nel caso di una Guerra Fredda o a bassa intensità.
La guerra giusta che una nazione (o un’alleanza di nazioni) muove contro un aggressore può promuovere anche una grande riflessione sui valori fondanti della propria esistenza storica, una rigenerazione dei princìpi e dei modi di vita.
Ma tutto ciò oggi può avvenire solo dall’interno della tradizione occidentale e all’interno del quadro geopolitico occidentale.
Infatti, chi vuole curare l’Occidente dalle sue patologie ricorrendo a quella che possiamo chiamare la terapia eurasiatica (mi riferisco alla teoria dell’eurasianismo elaborata in Russia da Dugin e propagandata in Europa da gruppi anti-occidentali, anti-americani e anti-capitalisti) è un ingenuo credulone oppure uno scaltro mestatore al servizio di interessi estranei, e in entrambi i casi si rivela nemico dell’Occidente.
La scelta di campo è ovvia perché i valori da rigenerare sono chiari: atlantismo, occidentalismo, difesa dell’Europa come tradizione storica e comunità di valori (il che non solo ammette ma anche richiede la critica serrata del burocratismo ideologico-funzionalistico dell’Unione europea), difesa di Israele in quanto eminente nazione occidentale.
È solo all’interno di questo campo che i liberalconservatori possono affrontare le patologie dello spirito occidentale e vincere lo scontro delle idee con i nemici, interni ed esterni, dell’Occidente.