Da Iodonna.it
Era l’antivigilia del 1983 quando “Vacanze di Natale”, capostipite di una categoria cinematografica tutta italiana, arrivò nelle sale. Da allora, una discesa infinta nel trash, con le donne quasi sempre relegate in parti da svampite spogliate.
Era il 29 maggio 1983, Christian De Sica, in collegamento con Gianni Minà, annunciava al pubblico di Blitz (programma dove solo un anno prima il giornalista aveva esordito come autore e conduttore) la realizzazione di un nuovo film dei fratelli Vanzina, girato a Cortina. Fu solo un piccolo accenno, tra una chiacchiera e l’altra. Né Minà né il pubblico italiano potevano immaginare come Vacanze di Natale, con un incasso di oltre tre miliardi di lire al botteghino, di lì a sette mesi avrebbe rivoluzionato gli appuntamenti natalizi del Bel Paese per i seguenti vent’anni (il Natale 2015 vede in sala Vacanze ai Caraibi, affiancato da un più poliziesco Natale col boss).
Nato sull’onda del successo di Sapore di mare (1982) e di Sapore di mare 2 (1983), «visto da tutti e amato da nessuno», rifiutato pure dai suoi creatori, almeno nella terminologia («Mi fa ribrezzo la parola, è una cosa che mi fa schifo», ammette Enrico Vanzina dopo il cambio alla regia in favore di Neri Parenti nel 2000), in realtà il cinepanettone ha radici profonde nella cultura italiana. E per nulla trash. Proiettato per la prima volta nelle sale l’antivigilia del 1983, e modellato sul Vacanze d’inverno (1959) di Camillo Mastrocinque, con Alberto Sordi e Vittorio De Sica, il primo Vacanze di Natale aveva una sua dignità e partiva dall’idea che il pubblico in sala, pur riconoscendosi in alcuni degli stereotipi nazionali rappresentati da personaggi che avevano il volto di Jerry Calà, Christian De Sica, Claudio Amendola e Antonella Interlenghi, fosse sostanzialmente superiore e capace di riderne. Ma se trentadue anni fa i Vanzina si prendevano ancora gioco del grottesco, da Vacanze di Natale ’90 in poi (la discendenza è quasi infinita: Vacanze di Natale ’91, Vacanze di Natale ’95, Vacanze di Natale 2000, e Vacanze di Natale a Cortina; affiancati da vari sottogeneri, da Yuppies ai Due Carabinieri; passando per le versioni estive dei cinecocomeri o cinepedalò: da Matrimonio alle Bahamas a Un’estate ai Caraibi) è stato un progressivo precipitare verso il fondo. In una strenue rincorsa agli status symbol dei cafoni arricchiti, con un pubblico in sala che piano piano ha smesso di ridere di loro, e ha cominciato a ridere con loro, quasi in ammirazione di quella volgarità ostentata, sessista, omofoba e cafonal, che è diventata la principale cifra stilistica di questo genere cinematografico.
Nel 2013, l’inglese Alan O’Leary gli ha pure dedicato un saggio, Fenomenologia del cinepanettone (Rubettino editore), che ne evidenza gli ingredienti semplici e ripetitivi: location esotiche da sogno (il contesto natalizio è limitato al titolo e a qualche addobbo di scena, dato che la maggior parte dei film sono stati girati a fine estate – anche quelli di ambientazione montano-invernale – e non tentano di nasconderlo), canzoni-tormentone rubate alle hit discotecare dell’anno, la presenza del nobile decaduto, dell’arricchito cafone, del marito cornuto, del milanese raggirato, una quantità esagerata di dialetti. E la coppia Massimo Boldi-Christian De Sica (replicata dopo il litigio e la separazione del 2005 in vari modi, con Enzo Salvi, Ricky Memphis o Massimo Ghini al posto di uno dei due), con le loro storie parallele, goffe, pecorecce, consumate sui materassi superaffolati di una stanza d’albergo, negli spogliatoi o tra i vapori di un bagno turco.
Dopo il primo Vacanze di Natale, insomma, la badilata in faccia, De Sica che si schianta con gli sci, la lingua di fuori sul faccione stupito di Boldi, e le mazzate dirette ai “gioielli di famiglia” a ogni cambio di scena, sono già tormentone. Come, naturalmente, la presenza della bellona di turno, di cui di volta in volta cambia il volto ma non in genere la taglia del reggiseno. Se nel primo film le protagoniste femminili (Antonella Interlenghi e Marilù Tolo) erano attrici dotate di un fascino raffinato e di discrete qualità recitative, da Vacanze di Natale 2000 in poi la misura delle coppe e il lato b pubblicamente certificati semplificano il lavoro di Neri Parenti & Co., che risparmiano così tempo sui provini femminili. L’elenco di femme più o meno fatali che hanno ancheggiato, quasi sempre svampite e discinte, sul grande schermo natalizio annovera Sabrina Ferilli, Alena Seredova, Michelle Hunziker, Ayda Yespica, Belen, Brigitte Nielsen, senza tralasciare la strizzatina d’occhio ai cultori delle milf, con Mara Venier e Simona Ventura.
Campioni d’incassi per un ventennio, i cinepanettoni con gli anni Duemila sentono i primi scricchiolii, fino al flop di Vacanze a Cortina, con un Curzio Maltese che a fine 2011 scriveva: «Il crollo di incassi del cinepanettone di Natale è forse il primo e più clamoroso segno della fine dell’epoca berlusconiana. […] Le anomalie, politica e cinematografica, hanno viaggiato in parallelo dall’inizio degli anni 90 fino a ieri, per crollare di schianto insieme». Ma si è brindato alla loro fine troppo presto. Dopo il primo Natale, quello del 2014, senza De Sica (Boldi invece c’è, diretto da Neri Parenti in Ma tu di che segno 6?), la Filmauro di Aurelio De Laurentiis manda in sala Un Natale stupefacente con Lillo e Greg, Paola Minaccioni e Ambra Angiolini, dove la dimensione dei ruoli femminili cambia rispetto al passato: «Sono figlio di una femminista, per me la donna è un oggetto sacro e l’idea di un personaggio femminile stereotipato per me non ha alcun fascino», spiegava il regista Volfango De Biasi. Dodici mesi dopo, la Filmauro rispolvera Neri Parenti, De Sica e chiama Ilaria Spada («De Sica è un Dio. Lo adoro e, pensate, da piccola lo imitavo», dice colma di gratitudine la soubrette) per il gran ritorno di Vacanze ai Caraibi, al cinema dal 16 dicembre. «Il cinepanettone non è finito», grida ai quattro venti Neri Parenti. «La memoria non si è affatto interrotta. Quest’anno molti lo attendevano». E così, archiviata l’eleganza sottile di Ambra Angiolini, riecco i giochi di equivoci, i doppi sensi, le poppe al vento e anche i peti. «Siamo tornati alle caverne…», tuonava poco più di un mese fa Bersani, parlando del Pd di Renzi. Forse un’esagerazione: ma chi cercasse nel cinema nazional popolare lo specchio dell’anima profonda del Paese potrebbe davvero dargli torto?
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
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