Dal Corriere della Sera dell’1 marzo
Non si può dire che Raymond Aron abbia goduto di particolare fortuna in Italia. Benché molte delle sue opere siano state tradotte, la cristallina scrittura e il pessimismo dell’intelligenza del liberale francese non hanno mai fatto troppa breccia. Eppure i suoi antagonisti erano Sartre e gli strutturalisti, le cui prese di posizioni politiche si risolsero quasi sempre in clamorose cantonate.
Alle opere di Aron Alessandro Campi ha dedicato gli studi raccolti ora nel volume La politica come passione e come scienza (Rubbettino), che si segnala sia per l’intelligente incastro dei saggi che per la qualità della scrittura. Tanto che lo si consiglierebbe anche a chi del pensatore francese non sapesse nulla. L’Aron di Campi è un teorico politico originale, capace di rinnovare il liberalismo francese. Un aggiornamento fecondato dal dialogo con le scienze sociali tedesche (Max Weber) e dall’incontro con il realismo. Secondo Campi è stato proprio Aron a rendere liberale il realismo politico, caratterizzato di solito da un’impostazione conservatrice, se non reazionaria.
Del resto è anche difficile dire a quale destra Aron appartenesse: pur non essendo un’entusiasta dell’ultra liberismo, con il gollismo degli anni Sessanta ebbe rapporti complicati, per la politica estera ma anche per quella economica del Generale, dai tratti troppo dirigisti. Non sappiamo come Aron avrebbe interpretato i tempi post Guerra fredda: è certo però che leggere i suoi scritti ci aiuta a capirli meglio.
di Marco Gervasoni
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