Cavour prima di Cavour (oltreimuri.blog)

di Andrea Biglia, del 9 Marzo 2022

Franca Porciani

Cavour prima di Cavour

La giovinezza fra studi, amori e agricoltura

Non c’è città dalle Alpi al Lilibeo senza una piazza o una via intestata a lui, il grande tessitore dell’unità d’Italia, ma lui alla politica arrivò relativamente tardi, alla soglie dei 40 anni. Prima di diventare Cavour, il giovane Cavour figlio del marchese Michele amico di Carlo Alberto, Re di Sardegna, era il brillante rampollo di una nobile dinastia subalpina. Diverso da tanti altri rampolli: intraprendente e appassionato del nuovo quanto insofferente alle regole. Nel suo sangue, per via della madre Adèle de Sallon, origini ginevrine, con lo spirito calvinista correva qualche fremito dell’Illuminismo di Rousseau e Voltaire.

I suoi primi 40 anni non privi di avventure osé – predilezione per donne sposate (ballerine comprese) vedi la marchesa Nina Giustiniani che chiuse l’impossibile storia d’amore con il suicidio – i manuali li ignorano ma per capire il personaggio di Camillo Benso Conte di Cavour (1810-1861) sono preziosi. Li racconta con prosa briosa Franca Porciani, una vita al Corriere della Sera, e ora come storica dedita a scandagliare il nostro ‘800: “Cavour prima di Cavour”, Rubettino, pag. 132, euro 13,00, l’ultimo libro.

Dopo una precoce iniziazione alle armi nella Reale Accademia Militare da cui però si dimise a 16 anni già in sospetto alle autorità sabaude per indisciplina e letture “proibite” – che gli avevano meritato punizioni a pane e acqua più la fama di “piccolo giacobino” – Camillo scoprì la vocazione di imprenditore agricolo con viaggi all’estero, magari anche per respirare un po’ d’aria fresca, lontano dalla “soffocante e bigotta Torino”.

Prima tappa appunto Ginevra, poi Francia e Inghilterra a imparare i moderni sistemi di produzione, allevamento, irrigazione senza trascurare salotti buoni, puntate ai cavalli, giochi spericolati in borsa: un “buco” di 45 mila franchi dovette essere coperto dal marchese padre.

L’affermazione professionale (calvinismo?) per Camillo era anche una necessità. Da figlio cadetto e come tale escluso dalla successione al ricco patrimonio terriero di famiglia doveva “trovarsi” un lavoro votandosi anima e corpo all’amministrazione delle proprietà dei Cavour a Grinzane (Cuneo) e Leri (Vercelli) per farne delle tenute modello. A Grinzane, nelle Langhe, lanciò il Barolo, il Moscato, nuove varietà di Barbera in concorrenza con la Francia.

A Leri, dopo aver promosso la nascita dell’Associazione Agraria, rivoluzionò le tecniche di coltivazione e selezionò nuove razze. I suoi “buoi piemontesi” non avevano rivali come forza lavoro. Quanto al concime, attraverso una ditta di Liverpool, apri un corridoio commerciale con il Sud America per l’importazione di tonnellate di guano di uccelli marini.

Con gli anni certi impulsi di rinnovamento politico-sociale si atenuarono per riparare in un più tranquillo porto liberale. Solo alla fine si preoccupò della condizione dei contadini esposti a micidiali “miasmi” (la malaria). Ma forse più che alla loro salute, quando perfezionò il regime delle acque pensava a quella delle campagne. Altra passione il nascente sistema ferroviario ma in questa corsa fu anticipato dai Borboni delle due Sicilia che inaugurarono la prima linea della penisola, la Napoli-Portici del 1839.

Il ’48 batté anche alle porte di Camillo Benso. L’ingresso nella politica, l’elezione nel parlamento subalpino, l’epopea risorgimentale e in fila tutti i più alti gradini fino a diventare da Presidente del Consiglio uno dei padri dell’Italia unita (ricordare in proposito la spedizione antirussa in Crimea: un po’ di sangue sparso il prezzo del diritto a sedersi al tavolo dei potenti).

La morte lo colse a soli 51 anni due mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia. La missione l’aveva compiuta, anche a costo di forti attriti e incomprensioni: il Re, Mazzini, Garibaldi, la “piemontesizzazione” forzata del Sud. Nelle pause di una febbrile attività si ritirava nelle sue terre che però quella volta lo tradirono con quei micidiali miasmi. Ma su questo “altro” Cavour l’autrice lascia parlare gli storici di professione.

Grande statista, pioniere nell’imprenditoria, quel cinismo che ci vuole, ma anche amante libertino. Non sembra neanche lui l’autore di una lettera a Nina: “Amarti con passione è forse follia? E’ follia vederti, scriverti e morire per te?”. Non è la prima volta che pagine di storia e scene da vaudeville vanno a braccetto. Comunque, appena morto, il fido Costantino Nigra provvide a distruggere tanta corrispondenza privata troppo compromettente.