Cause sociali ed errori politici (L'Indice dei libri del mese)

di Mario Bova, del 19 Luglio 2017

Una   singolare riflessione   sul tema  dell’emigrazione in Europa ci viene dall’Albania. Ce la fornisce uno dei più interessanti intellettuali balcanici, l’albanese Ylljet Aliçka, scrittore, cineasta, diplomatico. Formatosi tra Tirana e Parigi, durante la complessa  esperienza della transizione albanese post comunista, forte di qualificanti esperienze di lavoro presso la rappresentanza UE a Tirana, e di Ambasciatore a Parigi, Aliçka è un efficace interprete dei processi d’integrazione dei Balcani nell’UE, di cui coglie con acume aspettative e frustrazioni. Il tutto trasmesso con una penna incisiva, capace di oscillare tra l’ironia dissacrante e una tragicità impietosa.

La sua ultima opera, un romanzo pubblicato in Italia dall’editore Rubbettino, significativamente intitolato “Il sogno italiano” , percorre l’arco di tempo che va dalla morte di Hoxha nel 1985 ai primi anni di questo secolo. La trama si snoda intorno alla drammatica storia realmente vissuta dei 6 fratelli Popa, ribattezzati nel libro Tota, che per 5 anni si rifugiano nell’Ambasciata italiana, per giungere poi in Italia nel 1991, dopo complesse,ben documentate, vicende diplomatiche, politiche, burocratiche. Fuggono da un’Albania senza futuro, dove il regime si sfalda nella brutalità burocratica e repressiva del partito, nell’asfissia delle libertà, nella caduta devastante dell’economia; e lo scenario del funerale di Hoxha, proposto con un’abilità letteraria avvincente, ne è una algida conferma .

Li attende in Italia, terra dei loro sogni, una realtà imprevista,carica di amari confronti con una quotidianità appesantita da stereotipi e deviazioni burocratiche: un Occidente distratto, una democrazia chiusa, una società che sospetta, esclude e non comprende. Il tradimento del sogno,con la caduta delle false opportunità trasmesse dai media, lascia spazio,nella comunità dei sei fratelli, ad una progressione fatta di solitudine,degrado, follia, suicidi. Lo scontro tra due società percorse da storiche incomprensioni,si accompagna a politiche impotenti  a gestire fenomeni  di accoglienza, di incontro, eventualmente di rientro validamente organizzato,incapaci di decifrare prospettive di integrazione e crescita. La lezione dell’autore si rivolge ad entrambe le società  : quella albanese, imbalsamata e poi annichilita dal regime comunista, quella italiana ,deformata e poi resa ottusa da un capitalismo auto referenziale. Entrambi i Governi affrontano il problema con  una profonda riluttanza a calarsi nelle problematiche di fondo, il governo albanese ad aprire una nuova era di diritti e libertà, quello italiano a favorire l’integrazione attraverso il lavoro, superando la politica asfittica delle mance assistenziali ,emarginanti e perennemente escludenti. 

Con i sei fratelli Popa, o Tota, siamo agli albori della grande emigrazione di massa albanese verso l’Italia e verso l’Occidente. Sono essi gli antesignani dell’occupazione a migliaia delle Ambasciate a Tirana e della fuga massiccia attraverso carrette di mare e gommoni, sviluppatesi nel corso di venti anni tra le due coste. E il racconto di Aliçka ci accompagna negli errori ed orrori che quel fenomeno  accumulò negli anni ’90, per riprodursi ,in dimensioni ben maggiori, nelle  vicende  dell’emigrazione d’oggi.Il dramma di un’accoglienza inadeguata per mezzi e competenze,il dramma dell’integrazione fallita senza una politica efficace del lavoro,la questione  negletta della formazione e del riconoscimento dei diritti civili, l’impossibilità ove richiesto  di un ritorno gestito.Questi sono fenomeni che Aliçka intravvede e racconta nella tragedia della integrazione mancata dei sei fratelli Popa in Italia, in questa prima prova di emigrazione dall’ Albania, fornendo argomenti per un dibattito di attualità sui misfatti e sull’impotenza dell’immigrazione contemporanea. Un messaggio implicito e strategico emerge dal racconto: la triade “lavoro, formazione,diritti civili”, quale imprescindibile proposta per una integrazione funzionale che sia capace di trasformarsi in legalità, sicurezza, comprensione, benessere; e che sia in grado di saldare solidarmente il destino dei nuovi arrivati a quello dei residenti. Il saggio sull’ emigrazione si traduce in un’ opera di coinvolgente efficacia letteraria, che penetra e commuove, e fa pensare ai Balcani quale laboratorio di una letteratura europea di poderosa ispirazione sociale, cui sono dovuti maggiore attenzione ed apprezzamento.

Non è da sottovalutare nella costruzione dell’opera la preoccupazione dell’autore di non allontanarsi da fatti storici realmente accaduti, facendo trasparire una frequentazione altamente professionale di fonti e ricerche d’archivio. Nel corso dei numerosi anni di confronto tra le due diplomazie, emergono poco note vicende intergovernative sullo sfondo della guerra fredda: ad esempio un Andreotti non insensibile al “favore” che Hoxha fece all’Italia rompendo con Mosca; il ruolo di Perez de Cuellar, quale occasionale mediatore, nell’episodio risolutivo del trasferimento in Italia dei sei.

L’autore chiude con un graffiante “post scriptum” che è una lezione eloquente per le società e le politiche, il cui contenuto Aliçka fa proprio mutuandolo da una denuncia apparsa a suo tempo sulla stampa italiana da parte di un’associazione culturale milanese: “Dodici anni dopo il loro arrivo in Italia ,nessuno ha pensato di predisporre per la famiglia Tota una soluzione idonea e dignitosa, né un appoggio da parte dei servizi sociali territoriali. Di conseguenza, quella che era una problematica a carattere politico e sociale, stranamente si trasformò in un problema di ordine pubblico”. 

Circoscritta in un preciso periodo temporale, l’ opera non intende anticipare valutazioni e commenti anche sulle vicende migratorie mediterranee degli ultimi anni. Ma la profondità dei giudizi rimane di straordinaria utilità per una comparazione efficace con queste ultime, evidenziando il reiterarsi di cause sociali ed errori politici. Quale opera letteraria, “Il sogno italiano” supera di gran lunga le frontiere di un ambito nazionale e locale, per raggiungere il vigore di una riflessione di respiro europeo, sulla immane tragedia dei fenomeni migratori verso il continente .

 

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