da Avvenire – ed. Milano Sette del 17 Novembre
«Le nuove generazioni sono nate da genitori ampiamente investiti dall’avvento della cultura postmoderna e quindi dal suo lento ma non per questo meno inesorabile divenir “estranea” al cristianesimo: hanno respirato una cultura che estrometteva tutti i punti d’aggancio sui quali la teologia cristiana aveva puntato per dire la bontà di Dio per una vita piena. Hanno imparato a cavarsela senza Dio e così hanno insegnato a fare ai loro figli. Più in verità, hanno piano piano disimparato a credere e a pregare e così non vi hanno potuto avviare la loro prole. Hanno forse ancora mantenuto un legame affettivo ai riti ecclesiali, ma privo di ogni consistenza di fede… E’ nata così la prima generazione incredula della storia dell’Occidente, figlia dei figli del ’68» (da Armando Matteo, «La prima generazione incredula», editrice Rubbettino).
Il giudizio forse un po’ sommario, ma certo realistico sulla generazione attuale di genitori quarantenni, che chiedono il Battesimo per i propri figli e gli altri sacramenti dell’Iniziazione cristiana negli anni successivi, dischiude un panorama nuovo circa la prassi dell’Iniziazione cristiana (Ic) a partire dalla richiesta del Battesimo e chiede un ripensamento globale.
Molti genitori chiedono ancora il sacramento del Battesimo per i propri figli, ma con quale coscienza credente, o meglio con quale consapevolezza del dono di un figlio ricevuto dall’alto, e del compito che è loro affidato, sempre dall’alto, di accompagnarlo nella crescita?
La generazione di mezzo, ci ha ricordato il nostro Arcivescovo nella Lettera pastorale, «Il campo è il mondo», vive il rischio di un «ateismo anonimo», come se Dio non ci fosse: «Uno dei segni più evidenti di questa fatica è la condizione delle “generazioni intermedie”… di coloro cioè che formano una famiglia… Sono proprio queste generazioni, tra i 25 e i 50 anni, ad essere particolarmente travagliate». Come quindi incontrare e accompagnare in un cammino credente in particolare i genitori di bambini, che a volte sulla spinta dei nonni chiedono ancora il Battesimo e gli altri sacramenti dell’Ic?
Ancora l’Arcivescovo sottolinea: «Spesso l’annuncio del Vangelo e la vita delle nostre comunità appare loro astratto, lontano dal quotidiano. E per questo Dio sembra non interessare più».
Certo sappiamo che non ci sono facili ricette. Sicuramente occorre attentamente valorizzare ogni forma creativa e duttile di accoglienza dei genitori con i loro figli. L’evento della generazione di un figlio è luogo esistenziale, antropologicamente significativo di apertura al mistero della vita, feconda occasione di incontro rinnovato con il Dio della vita, che bussa alla porta della mente, del cuore di due genitori e chiede di essere accolto nel corpo del figlio, in un cucciolo di uomo e di donna che è loro affidato.
Potremmo dire che il compito pastorale e primario di una comunità che va incontro alla richiesta dei genitori è di aiutare a discernere il senso profondo dell’evento di rivelazione, di svelamento che ha avuto inizio con la loro apertura totale al figlio dal momento del concepimento, alla nascita, alla cura quotidiana che richiede.
Il figlio parla loro di Dio, del Dio della vita. La comunità cristiana gioisce e contempla con i genitori un tale dono dall’alto e avvia un cammino di primo annuncio della fede a partire dalla condivisione di questa gioia.
di Don Antonio Costabile
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di Don Antonio Costabile