Eventi estremi nel prossimo futuro
a cura di Emanuela Guidoboni, Francesco Mulargia, Vito Teti
Dal Corriere del Mezzogiorno del 14 febbraio
Fece scalpore alcuni anni fa il processo fatto a L’Aquila in materia di terremoti. Alcune persone erano imputate della responsabilità di non aver adottate le misure di loro competenza per salvaguardare persone e cose nel forte sisma aquilano del 2009. Il punto forte dell’accusa, così come della difesa, verteva sulla prevedibilità dei terremoti, e se ne discusse anche fuori d’Italia.
Il libro – ora pubblicato dall’editore Rubbettino e curato da Emanuela Guidoboni con Francesco Mulargia e Vito Teti – evoca questa materia già nel titolo: Prevedibile/imprevedibile. Eventi estremi nel prossimo futuro.
Notevoli sono la molteplicità dei diciassette saggi qui raccolti e la diversità delle discipline dei singoli autori. Vi sono archeologi, storici, sismologi, antropologi, fisici, geofisici, geologi, avvocati, epistemologi; e il volume si apre con alcune pagine di David E. Alexander, professore di Risk and Disaster Reduction, che insegna «Pianificazione e gestione dell’emergenza» a Londra.
Nella prospettiva delle diverse discipline dalle quali i saggi sono nati risulta difficile un’effettiva, sostanziale e piena integrazione dei loro approdi.
Il volume è, anzi, importante, ai miei occhi, perché mi sembra provare, una volta di più, che la pluridisciplinarità non è, di per se stessa, una garanzia di interdisciplinarità. Avere a disposizione molti punti di vista è un arricchimento prezioso della nostra intelligenza e riflessione, ma l’interdisciplinarità nasce da un’altra logica. Non è un punto di arrivo, bensì un punto di partenza. È il frutto di un atteggiamento che, per così dire, già contiene in sé o che previamente si forma da sé i succhi gastrici, che mettono poi in condizione di tradurre in una visione unitaria la ricchezza pluridisciplinare che si viene ad avere a disposizione.
Ciò spiega perché (e anche questo qui si dimostra) una vera interdisciplinarità si noti, piuttosto, in alcuni dei saggi qui compresi, quale dato fondante (come deve essere) della considerazione dell’autore, non quale suo dato risultante. Così accade qui – mi pare – in vari saggi, a cominciare da quello della Guidoboni, senza, peraltro, che si possano discutere la società e l’acutezza di un po’ tutti i saggi.
Il succo o, meglio, l’ammonimento che il volume impone di recepire sembra, comunque, quanto mai chiaro. Data per scontata la imprevedibilità di fenomeni naturali di una complessità appena immaginabile; e dato per scontato che questa generale imprevedibilità riguarda soprattutto il «quando» questi fenomeni accadranno, se ne deduce che ciò impone una maggiore, non una minore responsabilità sia agli studiosi, sia ai responsabili della sicurezza pubblica nelle grandi e piccole comunità umane.
Prevedere, dunque, tutto il prevedibile con studi e informazioni ininterrotte e costantemente aggiornate, ma soprattutto prevenire quanto più si possa le cause e gli effetti dei grandi disastri, avvalendosi sempre, innanzitutto, degli studi e delle informazioni disponibili.
Conclusione banale di un grosso sforzo di studio? Per nulla. Il governo del territorio ha fatto in Italia pochi progressi quanto alla prevenzione; e i problemi sono enormi. Anche qui la Guidoboni ricorda che negli ultimi 150 anni abbiamo avuto un disastro sismico ogni 4 0 5 anni e oltre 2.800 frane, con un costo medio annuo che al valore attuale ella calcola in oltre 5 miliardi e mezzo degli attuali euro. Per di più l’area di rischio si estende su tutto il paese, con poche differenze di rilievo.
Ciò impone una considerazione realistica anche della prevenzione. Anche da questa soglia realistica, che il libro impone di considerare, noi siamo, però, lontani. Affrontiamo a volte meglio (ma non sempre) le emergenze determinate dai grandi disastri. Una prevenzione quotidiana, anche di piccoli passi, purché continui, coerenti e connessi, per la messa in sicurezza del territorio e per preparare mezzi e modi della gestione delle emergenze noi non l’abbiamo, né, allo stato delle cose, la intravediamo. E il ridicolo (ma in realtà tragico) è che per non prevenire spendiamo nelle emergenze somme anche maggiori di quelle che spenderemmo per la prevenzione. Il sogno (che abbiamo spesso sognato ed espresso, anche in questa rubrica) di piani di pianificazione pluridecennale almeno della messa in sicurezza del territorio è tuttora un sogno sepolto nel perdurante, profondo sonno della nostra ragione civile rispetto a questi problemi. Chissà che questo libro non suoni per quella ragione una sveglia, almeno un po’ efficace. Noi osiamo tuttora sperarlo. Il fatto che non si possano fare miracoli non significa in alcun modo che non si possa fare nulla.
di Giuseppe Galasso
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